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“Ansia” è una riflessione, un racconto breve che fa parte della raccolta di racconti “Momenti di ordinaria follia”. È nato riflettendo su come si possono sentire le persone che provano ansia nella maggior parte delle situazioni che incontrano nella loro vita.
Ansia
Ansia. Dicono sia come un cane che abbaia quando vede il pericolo, quando incontri qualcosa che ti possa far del male; è quell’emozione che ti aiuta a rimanere sveglio, concentrato, che ti fa riflettere sulle parole da dire e su come agire. Un cane da guardia che abbaia nel buio e nella luce, che ti protegge e ti tiene sempre pronto a reagire. E’ quel istinto che abbiamo quando vediamo qualcosa di strano, di fuori dal comune, qualcosa che ci colpisce e che non ha una spiegazione logica veloce. Qual sentimento che ci fa battere il cuore fino a quando la paura fa il suo ingresso, poiché si sa, senza paura si perderebbe il senso di tante cose nella vita.
Questo cane però è come una moneta, ha una doppia faccia, e se a volte aiuta, altre distrugge.
Ansia. Buio che ti avvolge e ti toglie il respiro. Oscurità che ti copre gli occhi, ti soffoca lentamente, ti rende incapace di pensare razionalmente. Un cane che abbaia persino quando vede la sua ombra, come un bambino che ha paura di ciò che non conosce. E poi abbaia persino quando inizia a capire le cose, perché la paura rimane dentro nonostante tutto, perché inizia ad avere radici forti.
Abbaia quando le persone ridono: forse abbiamo fatto qualcosa di sbagliato o forse siamo ridicoli; quando qualcuno ci guarda male: forse abbiamo qualcosa che non va, forse i capelli sono messi male o abbiamo la maglia sporca o forse abbiamo detto qualcosa che non andava bene; quando ci guardiamo allo specchio e pensiamo a cosa possono vedere gli altri, a cosa possono dire su di noi.
Abbaia quando non capiamo una cosa perché forse gli altri pensano che siamo stupidi; abbaia quando dimentichiamo perché non siamo stati professionali, e poi chissà cosa ancora possiamo dimenticare; abbaia quando guardiamo gli altri felici e quando ci ritiriamo nel nostro angolo perché forse non siamo alla loro altezza, forse non siamo abbastanza per stare lì con loro, forse non ci vogliono nemmeno. E nella solitudine rimane solo l’eco di quel cane a farci compagnia.
Il buio ti copre piano piano la visuale, trasformando il mondo in qualcosa di indefinito e grigio. Quella sfumatura morta, senza brillantezza, senza vita, quel grigio così freddo e umido che ti ispira solitudine, o forse ti soffoca e basta. Guardi tutto attorno a te, ma non vedi colori, non vedi qualcosa che ti possa far pensare che esiste anche altro oltre a questo, guardi e vedi solo nuvole nere e nebbia che avvolge tutto, come se non avessi conosciuto i colori o forse hai dimenticato come sono.
Non vedi la luce alla fine del tunnel perché la nebbia ha coperto persino il suo ingresso. E lì nell’angolo che hai scelto di rimanere, non vedi altro che polvere, un fallimento dietro l’altro, pezzi di mondo che va in frantumi, pioggia e tuoni. Persino i lampi sono troppo brillanti per ciò che vedi davanti a te, persino quelli sono rari e a volte ti dimentichi come sia un raggio di sole.
Il cane abbaia così forte che persino la notte non vedi altro che oscurità che ti avvolge, il cuore che ti martella e ti pulsa dentro la testa e il cervello troppo occupato a pensare, per poter dormire. Il cane è sempre lì, accanto a te, ma ormai non sa più cosa fa paura davvero e cosa invece non ci sfiora nemmeno. Non è più in grado di capire come stanno le cose in quella nebbia, perché tutto è così uguale, così strano, che non si ferma più.
Ci svegliamo con un sorriso e con la voglia di conquistare quei raggi di sole, con la voglia di vedere davanti a noi anche un prato pieno di fiori colorati, oltre a quelle ombre senza contorno. Tuttavia non siamo in grado di mantenere quella promessa fatta a noi stessi perché ogni volta che smettiamo di sentire il cane, ci chiediamo se qualcosa non va ed eccolo che ritorna.
Pensiamo di non poterci più liberare da lui, che ha un senso che stia sempre lì. Non lo sappiamo spiegare perché anche quando vogliamo urlare al mondo ciò che proviamo, non siamo in grado di tirare fuori nulla se non una lacrima o forse solo un cenno leggero di testa. Spesso il silenzio dice molto quando hai di fronte una persona che non è in grado di buttare fuori nulla, ma vedi il suo sguardo che ti racconta il dolore, la sofferenza, quella paura che ormai non la lascia più da tempo.
Ansia. Buio che travolge e a volte distrugge. Sentimento che lacera l’anima, che ci fa cadere a pezzi trasformandoci in una ombra di ciò che eravamo una volta. Paura che ti rende immobile, che ti tiene in quel angolo grigio, paura di cadere anche quando ormai sei per terra. Paura di non essere capito, di non essere visto per ciò che sei, paura di non essere compreso davvero, paura di essere escluso o giudicato, paura di essere umiliato.
Ansia. Un cane da guardia che deve essere addestrato, che deve portare alla luce alla fine del tunnel, non dalla parte opposta. Un cane al quale deve essere insegnato a non avere paura di se stesso, perché un giorno potrebbe distruggersi e non rendersi nemmeno conto.
Ci insegnano ad avere paura di ciò che non conosciamo, di ciò che potrebbe danneggiarci, a volte però servirebbe imparare che ciò che non ci uccide ci rende più forti, che non siamo nullità solo perché siamo lenti, che non siamo incapaci se dimentichiamo una cosa oppure non la capiamo, che non siamo stupidi se confondiamo le cose, che non siamo dei fallimenti solo perché molliamo.
In realtà siamo forti perché siamo ancora vivi, siamo ancora in piedi e promettiamo di vedere quel prato fiorito, perché cerchiamo di colmare le nostre lacune, perché impariamo sempre di più e stiamo attenti ai dettagli, perché forse a volte mollare è solo un atto di coraggio, perché serve questo per ammettere di perdere una lotta. Serve coraggio per cambiare strada e tentare un altro piano, lanciandosi nel vuoto a volte, serve coraggio per smettere di fare una cosa e imparare a farne un’altra, serve coraggio a volte persino per trattenere le lacrime e sorridere.
Forse non siamo dei perdenti e forse siamo all’altezza di molti che sono bravi e che sono da qualche parte in alto, solo che non lo sappiamo ancora. Forse abbiamo solo bisogno che qualcuno ci prenda per mano e ci porti all’ingresso di quel tunnel, poi la luce arriverà perché persino quando molliamo, non lo facciamo mai veramente. Oh no, noi continuiamo a lottare, a modo nostro, per dimostrare che quel cane si stava sbagliando, che il mondo aveva visto male quando ci aveva guardato in faccia, che noi non siamo fallimenti, ma siamo coraggiosi a modo nostro, e forse incompresi.
Ansia. Forse è ciò che tiene il cervello attivo persino quando non dovrebbe, e forse è ciò che a volte ci rende diversi, non bravi, non geni, ma diversi e basta.
Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio. (Samuel Beckett)
Liv
Sulla Storia
Questa riflessione, un altro momento di ordinaria follia, è nata per caso. Dopo aver assistito a un incontro per la gestione dell’ansia, problema comune tra gli studenti, ho riflettuto su cosa rappresentasse davvero cercando di rendere la situazione più poetica forse e spiegarla con le mie parole. Non è tutto negativo, ma credo che dica ciò che molti provano senza avere il coraggio di dirlo a voce alta.
Questa riflessione ha un significato importante per me perché sono riuscita a leggerla davanti a diverse persone e per una volta ho cercato di lasciare perdere il giudizio che potevano avere su di me. Non ci sono riuscita davvero fino in fondo, ma ci ho provato almeno.
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Questa breve riflessione è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
Testo molto profondo, mi sento capita leggendo anche poche righe..molto bello.
Grazie, mi fa davvero piacere leggere le tue parole.