Nota
Cari lettori di Alteregouniversus, di nuovo Stephi qui ad annoiarvi con qualche breve dettaglio sul racconto “Di un amore perduto e ritrovato” che state per leggere, parte della splendida rubrica StorytellingChronicles di Lady C de [La nicchia letteraria], corredata dalla grafica di Tania di [Mycreabookishkingdom].
Il tema comune da cui siamo partite per questo mese è stato deciso dalla sottoscritta. Masochista quale sono, per questo appuntamento ho scelto di tentare una strada diversa dalle solite, e proporre alle altre partecipanti di scrivere una storia partendo tutte da un incipit comune. Bello, direte voi. Per me si è rivelato un vero dramma. In più atti. Forse proprio perché l’ho scelto io. Parte prima: quello che in questo racconto è un incipit, non è nato come un incipit. Era parte di una storia totalmente diversa da quella che andrete a leggere, e l’avevo scelto proprio per costringermi a raccontarla. Spoiler: ho fallito miseramente.
Parte seconda: scelto l’incipit, in prima battuta ho seguito l’impulso, e delirato su Word producendo un flusso di coscienza degno di Joyce ma illeggibile per chiunque altro a parte me. Quindi, che ho fatto? L’ho preso e accantonato. E ho ricominciato da capo. Parte terza: è arrivata l’ispirazione. E in preda a un’irrefrenabile quanto incredibile necessità di fare spazio alle voci del ragazzo mostro e della ragazza fantasma che vi avevo presentato qualche tempo fa, nel racconto di maggio della rubrica intitolato proprio Di Mostri e Fantasmi, ecco che quello che state per leggere non è altro che un episodio successo loro durante il viaggio liberatorio che stanno vivendo sul lago di Bolsena. Vi avviso, è abbastanza lungo, anche rispetto ai miei soliti standard. Spero possa piacervi comunque. Un abbraccio affettuoso, Stephi.
Racconto: Di un amore perduto e ritrovato
Afferro al volo il pezzo di carta stropicciata che il vento ha trascinato fino ai piedi della panchina; acciuffato, lo apro e ne leggo il contenuto. E nell’esatto istante in cui quella serie di lettere, messe una dopo l’altra precisamente in quell’ordine, attraversano i miei occhi e arrivano nella testa e da lì, in una corsa impetuosa, dritte al cuore, il tempo si ferma.
19 luglio 1943
Mia cara, mia amata, mia luce,
queste sono le mie ultime parole, non potevano che essere per te. Ogni minuto che passa, la mia fine è più vicina. Non ho rammarichi, nemmeno troppi rimpianti, forse qualche rimorso, ma niente che possa impaurirmi o farmi sentire insoddisfatto adesso che manca così poco alla mia partenza. Voglio che tu sappia che con te sono stato felice come non lo sono stato con nessun altro. Che sei stata l’ancora di salvataggio cui mi sono aggrappato ogni volta in cui ho avuto bisogno di un appiglio: la mia salvezza sei sempre stata tu. Che non importa quanto il destino ci porterà lontani, d’ora in avanti: mi ritroverai sempre, volgendo lo sguardo al cielo, tra le stelle che silenziose veglieranno su di te al posto mio.
Promettimi che ti prenderai cura di te, che non ti lascerai andare, che non avrai paura ad affrontare la vita da sola e, soprattutto, che non mi dimenticherai. Perché fino a quando il mio ricordo vivrà nel tuo cuore, io vivrò insieme a lui.
Ti ho amata, ti amo, ti amerò. Sempre e per sempre.
Con tutto ciò che mi resta,
Lidio
Rileggo più volte le parole di questa lettera d’amore che il caso ha portato ai miei piedi nella speranza – vana – possano dirmi qualcosa in più della donna cui Lidio ha rivolto il suo ultimo, struggente messaggio.
Mi guardo intorno alla fine di ogni riga, cercando con gli occhi il volto che traspare dall’inchiostro ormai sbiadito, ma sono solo, su questa panchina, di fronte alla distesa d’acqua che placida riempie tutto il mio campo visivo.
Mi sembra tutto così surreale. “19 luglio del ’43, che successe quel giorno?”, mi chiedo, estraendo dalla tasca dei pantaloni il cellulare. Cerco su Google e, mentre scorro col dito i risultati che Big G mi restituisce, riaffiorano alla mente lezioni di storia che credevo scordate per sempre, ricordi degli anni in cui, giovane e ribelle, frequentavo il Liceo nella capitale e la materia del prof. Agostinis era l’unica cui prestassi un po’ d’attenzione. Ed eccola lì, scritta a caratteri nitidi in ogni articolo della mia ricerca, la risposta alla mia domanda: in quella data ebbe luogo un bombardamento aereo delle forze americane su Roma. Possibile che Lidio ne fosse rimasto coinvolto? “Lo devo scoprire!”, mi dico. E, rimesso il cellulare a posto, mi alzo in fretta dalla panchina e mi dirigo spedito verso il centro del paese, con una meta ben precisa.
A Capodimonte, borgo che conta meno di duemila anime sito sulle rive del lago di Bolsena, tutti conoscono tutti. Tranne me. Con i miei, infatti, ci trasferimmo in città non appena ebbi l’età giusta per frequentare la scuola elementare. La capitale offriva possibilità che un piccolo paese della provincia nemmeno poteva permettersi di sognare, così, anche se per loro queste persone sono casa, per me non sono altro che perfetti sconosciuti con cui scambiarsi un saluto nel caso in cui ci si incontri per caso in giro, niente di più. Eccetto l’uomo che sto cercando. Lui, ne sono certo, conoscerà la storia di Lidio.
Il difficile sarà farlo parlare con me. Con Irene, invece, potrebbe addolcirsi. Anche se è venuta qui insieme a me solo da qualche settimana, ha già stretto amicizia con gran parte degli abitanti del borgo, che non fanno che lanciarle sorrisi affettuosi e parole dolci ogni qualvolta li incontra lungo le vie della cittadina. Lei potrebbe darmi una mano. La incontro mentre, a passo spedito, mi sto dirigendo verso l’unico posto dove sono sicuro di trovare qualcuno che a quei tempi Lidio lo poteva conoscere. Una vera fortuna!
« Ire, vieni con me? » le chiedo, trafelato, fermandomi di fronte a lei per riprendere fiato.
« Uhm, e dov’è che dovrei venire? Dev’essere qualcosa di importante se ti fa correre così in piena estate! » esclama, sorridendo.
« Una missione a cui non vorrai non partecipare dopo aver letto… questa! » le dico, porgendole la lettera che stringo ancora nella mano sinistra da quando l’ho raccolta sulla riva del lago.
Irene scruta con attenzione ogni parola dipinta su quel foglio ormai sgualcito, dal tempo e da chi l’ha stropicciato prima di lasciarlo al vento. Scorre la lettera tutto d’un fiato; mentre avanza verso la fine, lo sguardo le si riempie di lacrime di commozione. Terminata la lettura, posa i suoi occhi su di me, travolgendomi con un mix di sentita emozione e sincera curiosità.
« Ma dove l’hai trovata? » mi chiede, rigirandosi il pezzo di carta tra le mani in cerca di qualche dettaglio che possa renderne i contorni più definiti.
« Ero alla nostra panchina, assorto nei miei pensieri, e me la sono trovata letteralmente sotto ai piedi. »
« Dobbiamo ritrovare questa donna! » dice, piegando accuratamente la lettera in quattro e riponendola con cura nella tasca della giacca in jeans che porta sulle spalle.
« Quindi vieni con me? » la incalzo.
« Scherzi? Non mi perderei quest’avventura per niente al mondo! » afferma, prima di prendermi sottobraccio e lasciarsi trascinare verso la meta di questo insolito viaggio.
Arriviamo grondanti alla piccola piazza del paese. Sono poche le persone che incrociamo: è pieno pomeriggio, il sole batte deciso, non c’è anima viva per strada.
« Io non vedo nessuno qui, Ale… » sottolinea Ire, perplessa.
« Perché non è qui che dobbiamo cercare… » le rispondo. Mi guarda con fare sospetto, stremata dal caldo e dalla corsa appena fatta per raggiungere il centro prima dello scoccare dell’orario di chiusura dei principali negozi e ristoranti. « È lì che dobbiamo andare! » aggiungo, indicando con il braccio un’insegna pressoché invisibile se non ad un occhio ben allenato.
« A… “La Rocca”? »
« Esattamente. Credo che qui dentro troveremo qualcuno che ancora ricorda il 1943 e, se siamo fortunati, potrà dirci qualcosa di più di Lidio, e della donna che stiamo cercando. O almeno ci spero. »
Irene annuisce e mi prende per mano. Stretti l’uno all’altra attraverso le nostre dita, varchiamo la soglia della locanda pieni di speranza.
Lo riconosco subito: l’uomo che sto cercando è seduto all’angolo più lontano dall’ingresso e più vicino alla cucina, solo. Non appena mettiamo piede nel locale, senza nemmeno darci il tempo di aprir bocca, ci scruta da capo a piedi cercando di capire soltanto dai nostri movimenti cosa potremmo mai volere da lui, unico cliente de “La Rocca”. Sono passati diversi decenni dall’ultima volta che l’ho visto, eppure è sempre lo stesso: il volto cupo, le labbra serrate, la schiena curva di chi porta sulle spalle il peso di una vita intera. Avere il suo sguardo addosso mi mette profondamente a disagio: con una sola occhiata ha la capacità di rivoltarti da capo a piedi e farti sentire terribilmente in soggezione, e con me questo suo gioco attacca sempre. Su Irene non sembra sortire però lo stesso effetto.
Appena la vede, i suoi occhi si illuminano. « Irene, tesoro mio, che piacere averti qui! Vieni, accomodati pure, fammi compagnia! » esclama, radioso.
Sbalordito osservo la mia compagna di avventure avvicinarsi sorridente al tavolo dove l’uomo sta ultimando il pranzo.
« Anselmo! Che ci fai qui tutto solo? » gli chiede, afferrando la sedia di fronte a lui e invitandomi a raggiungerla con un cenno della mano.
« Mi gusto le prelibatezze che ha cucinato oggi la mia Luciana! » grida, rivolto verso la cucina. Dalla porta scorrevole alle sue spalle appare un volto ricoperto di farina che ringrazia gioioso prima di sparire nuovamente dietro ai fornelli.
“Ma che cosa sta succedendo qui?” mi chiedo, prendendo posto vicino a Irene.
« Io lo conosco, questo qui! » brontola Anselmo, masticando l’ultimo boccone di quello che ha tutta l’aria di essere stato un cosciotto d’abbacchio. « È un furfante! Che ci fai in giro con un furfante, Irene bella? »
Irene scoppia in una risata fragorosa, mentre le mie guance si colorano di rosso e le mie mani si stringono a pugno.
« Questo furfante crede che tu possa darci una mano con questa… » lo rassicura lei, estraendo la lettera dalla giacca e leggendola col cuore in mano ad Anselmo. « Ti prego », lo supplica, a lettura ultimata. « Dicci che tu conosci la storia di Lidio e della sua amata misteriosa! »
Negli occhi di Anselmo ora brilla una luce diversa, uno scintillio che non gli ho mai visto in volto, neanche vent’anni prima, l’ultima volta che le nostre strade si sono incrociate. Ci guarda commosso, e inizia il suo racconto.
« Il furfante ha ragione, Lidio lo conoscevo bene. Così bene che se foste stati vivi, negli anni Trenta, probabilmente ci avreste scambiati per fratelli, anche se tra di noi non c’era nessun legame di sangue. Eravamo vicini di casa, compagni di scuola, amici inseparabili. Siamo cresciuti insieme sulle rive di questo lago, in un periodo durante il quale non c’era tempo per restare bambini troppo a lungo. Abbiamo condiviso tutto, per così tanti anni. Ovunque andassi io, c’era lui. Qualsiasi cosa facesse lui, chiunque avrebbe potuto giurare che lì nei paraggi avrebbe trovato anche me. E mi trovavano. L’unica cosa che non siamo mai riusciti a condividere è stata l’amore. Io ero un dongiovanni, lui un vero principe. E quando si è innamorato di Santa, è stato l’inizio della fine per la nostra amicizia.
Io ero accecato dalla gelosia per quella bella ragazza dal cuore buono che, silenziosamente, me l’aveva portato via, togliendomi l’unico amico che avessi mai avuto, e non perdevo occasione per provare a distruggere il loro amore. Lui invece non si capacitava di come potessi essere così cattivo con lei, io che per lui avevo sempre voluto il meglio. Non capiva quanto mi mancasse, ma non era colpa sua: non sono mai stato capace di dirglielo. Fino alla fine.
Ci fu un giorno, credo fosse il 1937, in cui litigammo così violentemente per questo nostro modo opposto di vivere l’amore che ci giurammo l’un l’altro di non volerci mai più vedere. Quello che era stato un legame fraterno dei più profondi si era inconcepibilmente trasformato in un odio viscerale che ci ha tenuti divisi per anni. Per sei lunghissimi anni. Nei quali ogni qualvolta ci incontravamo per caso, entrambi rivolgevamo lo sguardo altrove, trattenendo a fatica le lacrime per portare alto l’orgoglio di non essere il primo a chiedere scusa. Com’eravamo stupidi, nella testardaggine dei nostri vent’anni. Ci evitavamo, eppure non potevamo fare a meno di chiedere in giro notizie l’uno dell’altro, sorbendoci da chiunque vivesse a Capodimonte in quegli anni rimproveri del tipo: “Ma perché non ricominciate a parlare tra di voi invece di far fare da intermediario il paese intero?”
«L’orgoglio è il male peggiore in cui l’uomo possa imbattersi, tesoro mio. Ricordalo sempre. »
Irene e io siamo entrambi catturati dalle parole di Anselmo. Il tempo di fargli riprendere fiato e finire il suo pranzo che subito lei lo imbecca: « E poi? »
« Poi è venuta la guerra, tesoro mio, e la guerra cambia le persone in modi inaspettati. È venuta la guerra e si è presa entrambi, me e Lidio, portandoci con sé a combattere per una causa in cui nessuno dei due credeva fino in fondo.
Siamo stati risucchiati dal corso degli eventi, catapultati a combattere lontani da casa, senza sapere cosa ne sarebbe stato di noi, se ci sarebbe stato un domani, se saremmo sopravvissuti a quell’inferno o se il destino avesse deciso che la nostra morte sarebbe sopraggiunta quel giorno.
Ci siamo ritrovati solo nel 1943, quando il suo e il mio reggimento sono stati accorpati per combattere insieme contro gli americani. Sulle prime fui preso dal panico: non sapevo cosa fare, cosa dire, se mi avrebbe mai perdonato. Ma anche in quel caso lui, come sempre nella sua esistenza, fu ben più sveglio di me. Non appena mi vide mi corse incontro e mi abbracciò, scoppiando in lacrime. Feci altrettanto. Restammo così, in mezzo al campo di battaglia, stretti in un abbraccio che pensavo non avrei mai più potuto avere, per un tempo infinito.
Quando ci staccammo e rientrammo alla base, iniziammo a ricordare i vecchi tempi e a raccontarci tutto ciò che avevamo perso delle nostre vite in quegli anni di silenzio. Fu come ritrovare l’adolescenza che ormai credevamo entrambi persa per sempre.
Mi raccontò di essersi sposato con Santa poco prima di venire arruolato, del matrimonio in Sicilia, della luna di miele tra Palermo e Agrigento. I suoi occhi brillavano di una luce così bella. E anche i miei. Ero così felice per lui e per averlo ritrovato che tutto il resto fu presto dimenticato.
Da lì in avanti ci proteggemmo l’un l’altro le spalle per mesi, fino a quel maledetto giorno di luglio. Eravamo tornati in Italia per un breve congedo prima di rientrare sul campo di battaglia per quelli che dovevano essere gli ultimi mesi di servizio. Mi fece conoscere Santa e fui ospite nella loro casa per tutto il tempo concessoci. Mancavano solo pochi giorni al nostro rientro in Germania. Il destino volle altrimenti.
Per un caso fortuito ci ritrovammo a vivere in prima persona il bombardamento americano su Roma. Lidio ne uscì ferito quasi mortalmente per proteggere me: mi fece scudo col suo corpo non appena scoppiarono le prime bombe. E prima di morire mi chiese di trascrivere le sue ultime parole alla sua amata Santa, facendomi giurare di portargliele di persona insieme a tutto il suo amore. Morì tra le mie braccia. Da quel giorno la mia vita non è stata più la stessa. »
I singhiozzi di Irene invadono la stanza. Anche io e Anselmo stiamo piangendo, lacrime silenziose che scorrono rapide lungo le guance mentre nelle menti di tutti e tre rivivono, vivide come fossero scene di un film, le ultime parole che Livio ha dettato al migliore amico prima di morire. Un dolore terribile mi stringe il cuore.
È Irene, asciugandosi il viso con i palmi della mano, a trovare il coraggio di chiedere ad Anselmo cosa ne è stato di Santa.
« Oh, tesoro, è morta pochi giorni fa. Spero abbia raggiunto il suo amato, e che ora possano ritrovarsi e vivere insieme per sempre, senza che davvero niente e nessuno li possa separare. »
« Credo che questa allora la debba tenere tu… » sussurra Irene, porgendo la lettera ad Anselmo.
« Non posso. »
« È l’ultima cosa che ti rimane di lui, non puoi affidarla a nessun altro. »
« Irene cara, capisco ciò che dici, ma non posso proprio accettare di tenere con me queste parole. Sono state un fardello enorme, il più pesante che abbia mai portato in vita mia, che porto ancora. Le conosco a memoria, sono impresse nel mio cuore. Preferirei che le custodissi tu, tu o chiunque altro creda in un amore così puro e sincero come quello che Lidio provò per la sua Santa. Un amore che io non ho mai avuto la fortuna di poter vivere, ma che spero con tutto il cuore possa trovare tu, e chissà, magari la lettera ti porterà fortuna per questo! »
Irene porge la lettera a me. « L’hai trovata tu in realtà, quindi è tua. »
Imbarazzato, la prendo e la ripongo con cura nel portafoglio.
« Me ne prenderò cura, te lo prometto. » dico rivolgendomi all’uomo che, dopo questo lungo racconto, sembra davvero stremato.
« Sarà meglio per te, furfante… » mi risponde, ridacchiando tra le lacrime che ancora gli bagnano il viso.
Quando usciamo dal locale è ormai pomeriggio inoltrato. Con Irene al mio fianco, cammino senza meta lungo le vie della piccola cittadina, i pensieri fissi alla lettera che custodisco gelosamente nel taccuino. Siamo entrambi silenziosi, assorti nell’eco della storia che Anselmo ha condiviso con noi.
Senza rendercene conto, arriviamo alla nostra panchina vista lago. Ci sediamo uno di fianco all’altra e, per un po’, fissiamo entrambi l’acqua che va e viene dalla riva.
« Credi che Anselmo abbia ragione? » sussurra Irene.
« In merito a cosa? »
« Al fatto che anche oggi sia possibile trovare un amore come quello di Lidio e Santa. » Non mi guarda mentre parla, tiene gli occhi incollati al panorama di fronte a noi, un po’ per timidezza, un po’ perché troppo presa dai suoi pensieri, o forse per qualcos’altro… Non la conosco abbastanza bene per trovare con sicurezza un perché.
« Non credo di essere la persona più adatta a cui porre questa domanda, Ire… »
« Oh, scusa, avevo dimenticato i tuoi trascorsi sugli altari… » ridacchia. « Però se con Serena è finita così è perché evidentemente non era proprio il tuo vero amore… non credi? »
« Forse… forse lo ero io per lei ma non lei per me. Forse anche senza forse. » le dico, rivolgendole un sorriso. Un sorriso velato di malinconia.
« E avresti trascorso una vita intrappolato in un amore vero a metà solo per renderla felice, costringendo te stesso all’infelicità? » mi chiede, quasi sottovoce, timorosa di quella che potrebbe essere la mia risposta.
« No, penso di no, prima o poi l’avrei lasciata comunque. Sono troppo egoista per certe cose… » sospiro, stringendo le dita nei palmi delle mani finché le nocche non diventano chiare. Fa ancora male ripensare a ciò che è successo solo qualche settimana prima, quanto in colpa mi sono sentito per aver distrutto una persona che mai avrei voluto ferire per essere libero. Ho ancora dei dubbi sul fatto che averla lasciata così sia stato giusto. « Ma spero che l’augurio che ti ha fatto possa rivelarsi vero. » dico, riportando i miei pensieri a Irene e all’avventura che abbiamo appena vissuto con Anselmo.
« Di trovare qualcuno che mi ami in modo così puro e sincero? » mi chiede, senza staccare gli occhi dall’acqua.
« Esatto. Credo che tu, tra tutti, te lo meriti davvero, un amore così. »
Irene arrossisce. I suoi occhi risplendono di una luce diversa, più accesa, da quando siamo usciti da “La Rocca”. « Così mi metti in imbarazzo però… » mi dice.
Le avvolgo il braccio attorno alle spalle, e la stringo forte a me. Stranamente, non si allontana; i suoi muscoli, in un primo momento tesi come le corde di un violino, man mano che i secondi passano si ammorbidiscono, fino a che, delicata come una carezza, la sua testa si posa leggera sulla mia spalla sinistra, e lei si lascia finalmente andare a un pianto silenzioso. Avevo l’impressione che ne avesse un bisogno terribile, di questo abbraccio a metà, sin dall’attimo in cui siamo usciti dalla locanda e ci siamo incamminati verso la nostra panchina. Non mi sbagliavo.
Lascio che le sue lacrime mi inumidiscano la spalla senza farle domande, di alcun tipo, accarezzandole dolcemente il braccio per farle capire che sono qui, al suo fianco, e non ho alcuna intenzione di andare via. Sento che in questo momento l’unica cosa di cui ha davvero bisogno è il silenzio, e una spalla amica su cui riversare lacrime rimaste troppo a lungo in sospeso sul suo cuore.
Anche se la conosco solo da qualche settimana, da quando ci siamo salvati la vita a vicenda fuori da un bar a oltre 100 km da qui, e di lei so ancora davvero poco, ho imparato ad ascoltare le grida di aiuto che lancia al mondo senza mai chiedere ad alta voce. A riconoscere il ritmo dei suoi respiri e a leggere nei suoi occhi sempre troppo cupi tutte le luci diverse che ci brillano dentro. A darle tutto, senza chiederle niente in cambio. e a prendermi, a modo mio, cura di lei.
È Irene stessa a rompere il silenzio, dopo essersi liberata sulla mia spalla di un po’ dei macigni che porta dentro. « Forse hai ragione sai? Forse anche per me prima o poi arriverà. »
« Forse anche senza forse. »
Sorride. Si alza in piedi e mi tende una mano, mentre alle sue spalle il cielo si tinge delle sfumature del tramonto. « Vieni con me. » dice, e non posso che assecondarla.
Ritorniamo verso il centro del paese, camminando mano nella mano come due adolescenti che per la prima volta si mostrano al mondo. Non è la mia ragazza, e io non sono il suo ragazzo. Non abbiamo mai ben definito cosa siamo l’un per l’altra, in realtà. Un porto sicuro, forse, un’ancora di salvataggio. Qualcosa. Che è più importante di niente.
Mi trascina con sé lungo la strada che abbiamo percorso qualche ora prima cercando Anselmo; superiamo la locanda, procediamo a passo spedito, ci fermiamo soltanto arrivati alla meta: un’altra rocca, la Rocca Farnese, che vigila da secoli sul lago e su Capodimonte.
« Come mai mi hai portato qui? » le chiedo, una volta arrivati al giardino che la colora.
« Chiudi gli occhi! » mi dice, e io eseguo.
Tenendomi stretto per mano, mi guida ancora per qualche metro, fino a che non arriviamo a quello che, al tatto, sembra un muretto.
« Ora puoi aprirli…. »
Da quassù, il paese sembra una piccola perla. Si è fatto buio ormai, e le tinte dorate del cielo lasciano man mano spazio a quelle più cupe della notte. Guardo Irene senza capire ma, non appena i miei occhi incontrano il suo viso, mi è tutto, improvvisamente, chiaro. Sta puntando con il suo sguardo le stelle, che silenziose a loro volta vegliano su di noi.
« Ciao Lidio, ciao Santa. È stato bello conoscervi, oggi! Mi si è riempito il cuore a sentire Anselmo parlare di voi questo pomeriggio, così tanto che ho pensato di passare di qui a farvi un saluto. A promettervi una cosa, in realtà: saremo io e il mio amico Alessandro qui a ricordare il vostro amore, che così non potrà morire. Lui è un po’ timido, non ci crede tanto nelle chiacchiere rivolte a chi non può ascoltare, ma si sbaglia. So che ci siete, che ci avete visti piangere alla locanda, che è merito vostro se siamo finiti quassù. Non glielo farò dimenticare! Non ci dimenticheremo di voi! Vivrete per sempre nel nostro cuore. A presto! »
Senza pensarci un attimo, prendo dal portafoglio la lettera di Lidio, e la leggo rivolgendomi al cielo, nell’affettuosa incredulità di Irene.
« Allora non sei così insensibile come dici… » sussurra.
« Forse… »
« Forse anche senza forse. » ribatte lei, con un sorriso. « Però di una cosa sono curiosa… »
« Sentiamo! »
« Perché Anselmo sostiene che tu sia un furfante? »
Scoppio in una fragorosa risata. Irene mi guarda seria, inchiodandosi le braccia al petto, cercando di assumere uno sguardo minaccioso e severo, ma risultando solamente più adorabile ai miei occhi.
« Diciamo che è una storia un po’ lunga da raccontare… » cerco di dissuaderla.
« Io non ho mica fretta. »
Le prendo la mano e la stringo nella mia. Mi guarda, incalzandomi: « Allora? »
Senza lasciarla andare, inizio a camminare e a raccontare: « Devi sapere che un tempo… »
Ma questa è un’altra storia.
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Il contenuto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
AHAHAHAH Che simpaticona AHAH Ora però sgancia il seguito U_U Allora, perché Ale è considerato un furfante da Anselmo? 😛 Dovrai dircelo, prima o poi, donna, perché ti aspettiamo al varco e, quindi, non potrai sfuggirci 😉
Comunque, sono molto contenta di aver ritrovato oggi questi due personaggi che avevi fatto incontrare in maniera alquanto strana e altrettanto poetica nel racconto “Di Mostri e Fantasmi” :3 Come per ogni tuo scritto, avrei voluto vedere i tuoi characters in un seguito fatto su misura per loro, ma non volevo romperti troppo le pall*ne in merito -lo faccio già abbastanza, alla fine XD- ahahahah <3
Te l'avrò detto ormai un miliardo di volte -sì, vero? O mi sto confondendo? Ahah-, ma sai che, certe volte, quando scrivi, tiri fuori di quelle frasi, secondo me, perfette per i Baci Perugina? *-* Adoro quando le parole sono scelte con mirabile intento, evitando il casaccio di cui spesso molti abusano 🙁 Tu sei magica, Stephanie, e questo tuo talento si trasmette in tutto ciò che scrivi… Continua a farci sognare così <3
*segna tra le cose da svelare: perché Ale è un furfante*
*segna tra le cose da dirti: non mi rompi mai le palle!*
Grazie di cuore Lara per le tue bellissime parole! Non sai quanto mi fa piacere sapere che ti sia piaciuto ritrovare loro come protagonisti e il racconto in sé. Sono sinceramente commossa! Anche perché ogni tanto mi prendo e mi perdo nello sconforto del “sono incapace, non so scrivere, non emoziono”, e invece ogni mese mi vedo smentita e credo un po’ di più in ciò che faccio *anche se non sono del tutto convinta di farvi sognare – mi basta regalarvi quei cinque minuti di svago con quel che scrivo ahah*. Grazie ancora poi per la possibilità che mi hai dato di scegliere l’incipit, senza cui questa storia probabilmente – anzi, sicuramente – non sarebbe mai stata partorita. E prometto di impegnarmi in ogni racconto a cercare di regalarvi delle belle storie che possano emozionarvi/ti tanto quanto questa. <3
E ci racconterai anche l’altra storia, vero? Il tuo racconto è bellissimo. Mi sono innamorata della storia di Livio e Santa e dell’amicizia tra Livio e Anselmo. Hai narrato la vita delle persone comuni alle prese con una guerra, che avrebbe distrutto così tante vite e l’hai fatto benissimo. Sei stata davvero originale nell’utilizzo dell’incipit. I miei complimenti. Bravissima. A presto. Silvia di Silvia tra le righe.
Ciao Silvia 🙂 Sono davvero contenta ti sia piaciuto questo racconto! Come dicevo sotto, spero di scriverla presto, l’altra storia: vedo che Irene e Alessandro stanno riscuotendo successo, per cui… perché no? 🙂 Anche se non so bene come e quando, conto di rivederli presto! Grazie di cuore per le bellissime parole <3
Che bello ritrovare questi personaggi e che commozione questo intreccio passato-presente. Tramite la lettera, è come se Anselmo avesse ritrovato il suo amico Lidio e i ragazzi hanno ridato luce a un’esplosione di sentimenti che rappresenta il vero amore, quello che trascende il tempo. Anselmo ha raccontato una storia dal sapore amaro ma allo stesso tempo dolce che va a ricordare non solo momenti tragici ma anche bellissimi, ben impressi nel cuore e nella mente. Davvero un bellissimo racconto, complimenti! E grazie di cuore per questa sfida con il tema incipit.
Ciao Tany! Grazie a te per aver partecipato alla sfida scrivendo a tua volta uno splendido racconto per l’incipit 🙂 E per le tue belle parole qui nel commento al mio racconto! Super felice ti sia piaciuto <3
Come “questa è un’altra storia” ma io lo voglio sapere, subito, adesso. Allora? *fa gli occhi a cuoricino* quando scrivi il resto della loro storia?
Sono contenta di averli ritrovati questi due personaggi, li avevo lasciati lì nel bar come due sconosciuti che stanno scappando dal mondo e li ritrovo adesso che sono più calmi, rilassati, che stanno cercando di trovare loro stessi in qualche modo. Ho apprezzato anche la storia nella storia, Lidio e Santa, quei amori che diventano praticamente leggenda perché restano fuori dal mondo, resistono alla guerra e alla morte anche.
Non so perché e non so se sia così, ma ho percepito un sentimento molto più forte dell’amicizia da parte di Anselmo. Da come parlava, della sua gelosia profonda, ho immaginato che in realtà lui amasse Lidio forse come Lidio amava Santa. Aspetto risposte da te per questo.
Complimenti per tutto, è stato un racconto molto carino, pieno di sentimenti e che adesso mi ha resa ancora più curiosa.
Ciao Liv <3 AHAHAHA Spero ci sarà presto l'occasione di riprendere in mano questi due personaggi, dico davvero! Più ne scrivo più mi ci affeziono anche io, eheh 🙂 Mi fa super piacere leggere, dal tuo commento, che ti abbiano dato l'impressione di essere alla ricerca di loro stessi. È un tema che con loro due vorrei sviluppare, prima o poi, chissà… Magari presto? Lo spero! Per quanto riguarda Anselmo, ti lascio libera interpretazione: sicuramente c'è questa profonda gelosia e sicuramente il rapporto non è un classico rapporto tra amici. A me piace pensarli in questa linea di detto/non-detto, in modo che ognuno immagini per loro il rapporto che più sente appropriato. 🙂 Ti ringrazio di cuore per il commento e spero di soddisfare presto la tua curiosità su Irene e Alessandro. 🙂
Ciao Stephi!
Ritrovare Alessandro e Irene è davvero bello, soprattutto perché dopo il primo racconto mi avevi lasciato la curiosità di scoprire di più su loro due 🙂 L’incipit comune è usato davvero bene, si collega alla perfezione con la storia e anzi permette di affrontare un periodo storico molto complesso, anche se lo racconti a posteriori. Hai un modo davvero delicato di trattare la storia di Lidio, Santa e Anselmo, coinvolgendo anche i due giovani protagonisti in quella che forse potrebbe essere una riscoperta dei rapporti umani e soprattutto di un loro (possibile e sperato, da me almeno) avvicinamento tra loro!
Brava davvero!
Ciao Fede! Grazie mille, dico davvero. Sono super contenta di aver colmato la curiosità suscitata dal primo racconto di Irene e Alessandro. Sono onesta, quando ho scritto questo incipit non avevo proprio in mente loro due, era dedicato a una storia del tutto diversa… riuscire a farlo calzare bene su di loro è stata una sfida anche per me, e leggere le tue parole mi riempie di soddisfazione! Grazie mille 🙂
Wow wow wow! Sono felicissima di aver ritrovato i protagonisti de “Di mostri e fantasmi”, mi avevano colpita tantissimo e speravo che li avrei rivisti a breve! Qui li troviamo molto più “umanizzati” rispetto al racconto precedente e questa cosa mi è piaciuta tanto tanto! La contestualizzazione dell’incipit mi ha ricordato tantissimo quei romanzi d’altri tempi, in cui si raccontano storie che arrivano dritte al cuore e questa non è da meno. Lo stile è sempre molto diretto, privo di fronzoli e artefici letterari, con esso, Stephi, riesci a incollare il lettore alla lettura, portandolo per mano fino alla fine. Il personaggio di Anselmo l’ho trovato molto emblematico, a metà tra un cantastorie e un reale protagonista, racconta ma non solo.
Ho apprezzato anche il fatto che si comincia a scoprire qualcosa su Ale e Ire… chissà che non li rivedremo ancora! Ancora tanti complimenti per la storia dolcissima e commovente che hai creato… hai sfruttato l incipit al cento per cento!
Ciao cara <3 Sono veramente contenta di essere riuscita a dare un contorno più definito a Ire e Ale e soprattutto di essere riuscita a creare un racconto che ti ricordi un romanzo. Grazie di cuore per le bellissime parole! Sono super contenta ti sia piaciuto quanto letto! 🙂
Questo incipit mi è piaciuto tantissimo, un modo per rapportarci tutte col nostro modo di scrivere. Devo dire che l’ho trovato stimolante e molto bello, ovviamente ero curiosa di vedere tu creatrice cos’avresti proposto e mi è piaciuto moltissimo questo racconto. Io amo quando passato e presente si intrecciano e anche se non un libro vero e proprio (ma potrebbe diventarlo) sei stata bravissima a creare un rapporto breve toccante e coinvolgente.
Bravissima, mi è piaciuto molto
Ciao Susy! Grazie mille per le tue dolcissime parole! Sono felicissima tu abbia trovato la sfida stimolante, e altrettanto che ti sia piaciuta la storia di intrecci tra passato e presente che ho voluto proporvi! Non ho mai scritto un libro, non saprei proprio nemmeno da che parte iniziare, ma questo tuo complimento me lo stampo, davvero. Grazie di cuore <3
Ciao Stephi! Tu sei stata la creatrice dell’incipit su cui abbiamo tanto meditato questo mese, perciò ero davvero, davvero curiosa di scoprire come tu avresti sviluppato questo tema! La storia che ci hai proposto oggi è proprio il mio genere: adoro romanzi e racconti che propongono un legame tra passato e presente e riportano alla luce delle vicende dimenticate. Come forse sai, poi, mi piacciono gli approfondimenti storici, e sono contenta che tu abbia optato per un racconto di questo tipo.
Mi ha fatto piacere re-incontrare i due protagonisti di maggio: noto che stanno facendo progressi… che dici, li rivedremo?
Come sempre. nulla da dire sulla forma, corretta, scorrevole, spesso coinvolgente.
Complimenti per il racconto e grazie per averci coinvolto in questa avventura!
Ciao Silvia! Sono felicissima che ti sia piaciuto il genere che ho voluto usare per questo racconto e ancora di più che ti sia piaciuto lo scritto vero e proprio, essendo un po’ diverso dal mio solito! Non ti so dire se ritroveremo questi due in altre avventure, ancora… di sicuro c’è che hanno tanto da dire, e chissà, mai dire mai! 🙂
Ciao Stephi. L’incipit che hai proposto era veramente insidioso, difficile da sviluppare in maniera credibile e molto vincolante, sotto certi punti di vista, per cui aspettavo con ansia di leggere il tuo racconto. Ne è uscita una bellissima storia piena di spunti di riflessione e di messaggi importanti, commovente e tenera, scritta benissimo, come al solito. C’è una cosa che, più di ogni altra, mi ha colpita: a fine lettura, mi si è stampata in testa una domanda ben precisa. Mi sono chiesta chi si sia disfatto di quella lettera, quando e perché. Santa l’ha tenuta con sé per tutti quegli anni e, dopo la sua morte, qualcuno l’ha gettata via perché cosa di nessun valore, oppure Anselmo non l’ha mai consegnata e si è liberato del proprio fardello una volta che la destinataria non c’era più? Qualsiasi sia la risposta, questo enigma è forse uno degli elementi più potenti del racconto perché te lo fa restare dentro anche dopo aver finito di leggere. Forse anche senza forse. (Espressione fantastica!) Anche stavolta mi hai rapita, Stephi. Complimenti!
Ciao Debora! Sull’incipit: capisco perfettamente quello che dici. Ti dico la verità: non è stato facile scegliere questo come “tema” per la storia di luglio, proprio per gli aspetti che hai sottolineato anche tu, ovvero la difficoltà di svilupparlo in modo plausibile e soprattutto il vincolo che va a creare alla vena creativa di ognuna, essendo tanto specifico. La mia paura – Lara può confermare ahah – era proprio quella di potervi mettere in crisi “costringendovi” a scrivere qualcosa che partisse da un inizio tanto dettagliato. Alla fine, però, sono stata vinta dalla curiosità: questo incipit ci permette di poter leggere cosa ognuna di noi scriverà a partire da un inizio comune, e questo mi affascina ed è stato il fattore che mi ha convinta a proporvi un tema così. Spero di non averti messo troppo in difficoltà, anche se sono certa che te la sarai cavata comunque alla grande! 🙂
Per quanto riguarda invece il racconto, non so più come ringraziarti per i complimenti: ogni volta mi mettono i brividi. Questo scritto *qui lo dico, qui lo nego* credo sia uno dei pochi se non l’unico di cui sono pienamente soddisfatta anche io. Sapere che sia riuscita a colpirti con le tematiche raccontate così come a far nascere in te la curiosità sul chi si è disfatto della lettera mi rende ancora più felice! Se sia stato Anselmo o qualcun altro a liberarsene, in realtà l’ho scritto tra le righe: questione di orgoglio… 😉
L’incipit è stato una bella sfida, per me, e proprio per questo è stato appassionante scrivere il racconto, quindi non posso che ringraziarti. Per quanto riguarda la lettera, hai dato un indizio ben preciso, seppur nascosto tra le righe. E’ stata una delle cose che mi è piaciuta di più. Ti dirò: il mio cervello ci ha ricamato sopra per un bel pezzo anche mentre scrivevo il commento. Entrare nei tuoi mondi viene naturale. Uscirne molto meno. <3