Nota racconto
Buongiorno a tutti. Il racconto “La realtà era soltanto un brutto sogno” solo granelli di polvere nell’Universo” è stato scritto per il mese di dicembre per la rubrica Storytelling Chronicles organizzata da Lady C. No, non ho sbagliato a scrivere il mese, purtroppo è vero. Questo racconto doveva essere pubblicato a dicembre ma diversi impegni e soprattutto la mancanza di fantasia mi hanno bloccato. Ringrazio Lara perché mi ha permesso di pubblicarlo con calma.
Il tema consisteva nello scrivere una storia con un inizio e una fine precisa, senza usare personaggi creati precedentemente. Pensavo non fosse un problema ma le idee hanno fatto fatica ad arrivare. Per questo ringrazio Barbara, perché durante una pausa caffè mi ha dato l’idea dalla quale è poi nato l’intero racconto.
La realtà era soltanto un brutto sogno
Buio. Le voci che si sentivano erano vaghe, si mescolavano e davano vita a qualcosa di incomprensibile. Non riusciva a distinguere parole o frasi di senso compiuto, non era in grado nemmeno di comprendere se chi parlava fosse un uomo o una donna. Si girò e colpì qualcosa con un ginocchio, poi con la schiena, inciampò e cadde rovinosamente a terra. Le sembrò di sentire delle risate, non vedeva nulla eppure immaginava benissimo un gruppo di persone che la guardavano mentre era per terra e ridevano indicandola. Sembrava un pessimo film con le risate registrate, finto eppure così realistico allo stesso tempo.
Prese un respiro e provo ad alzarsi, tastando il muro. Il ginocchio le faceva male, ma non si fermò. Una volta in piedi cercò l’interruttore ma non riuscì a trovare nulla che gli somigliasse vagamente. Sentiva solo una parete umida e fredda che le faceva venire i brividi. Provò a fare un passo e si scontrò con delle scatole che cadendo a terra rovesciarono altri oggetti. Sentiva solo il rumore di fogli che volavano e di cose che si schiantavano sul pavimento.
Il buio le impediva di capire dove fosse davvero e non sapeva nemmeno quanto spazio ci fosse nella stanza. Da un lato quel pensiero le creava disagio perché non poteva nemmeno valutare quale potesse essere la via d’uscita più facile, dall’altro la tranquillizzava un po’ perché non vedeva dei muri stretti attorno a lei. Con l’oscurità poteva immaginare che lo spazio fosse largo e questo le impediva di avere un attacco di panico per la mancanza di aria e il terrore dato dalla claustrofobia.
Tasto ancora il muro ma non trovò nulla di più se non una superficie fredda, umida e leggermente appiccicaticcia. Sembrava un film horror ed essere la protagonista non era proprio una bella scoperta. Lei odiava gli horror, soffriva di insonnia e vedere film del genere era una tortura. Solitamente poteva andare al letto con la speranza di poter dormire, ma la visione di un film simile era una certezza del fatto che non avrebbe chiuso gli occhi nemmeno per un paio di minuti.
La musica e l’attesa, i rumori improvvisi, il sangue, i mostri, le creavano la tachicardia e la condizionavano a tal punto che non riusciva a girare per casa senza luci accese. Immaginarsi in quel momento come protagonista di un horror le aumentava l’ansia e la paura. Non era stata una mossa intelligente la sua, ma era troppo tardi. Aveva ormai innescato quel meccanismo che l’avrebbe bloccata del tutto.
Sentiva i brividi sulla schiena, il respiro più difficoltoso, il cuore che batteva velocemente, i palmi che sudavano nonostante continuasse ad asciugarli contro la maglia; le mancava l’aria, sembrava che lo spazio attorno a lei si fosse ristretto. Decise di provare l’ultima mossa e così con le braccia in avanti, fece diversi passi fino a quando non urtò qualcosa e come dei pezzi di domino varie scatole e carte le caddero addosso. Il dolore che sentì alla caviglia fu lancinante e qualcosa la colpì sulla testa e sulla schiena.
Si chiese se fosse già arrivata la fine per lei. Non sapeva come fosse finita in quel luogo e ignorava completamente persino dove fosse e perché, ma stava iniziando a vedere tutta la sua vita passarle davanti. Sentiva freddo, dolore dappertutto e rassegnazione. Aveva un peso che la bloccava e dopo alcuni tentativi falliti di liberarsi, si lasciò andare.
Chiuse gli occhi e cercò di ricordare qualcosa di felice, voleva andarsene con un ricordo di gioia nella mente e non con la disperazione. Sentì un rumore forte e fece un salto per lo spavento.
Aprì gli occhi e fu accecata dalla luce del sole che entrava dalla finestra. Era stato tutto un incubo. Respirò sollevata. Il cuore stava ancora battendo forte, ma essere tornata alla realtà era decisamente una bella cosa. Guardò l’orologio e vide che erano le sei e mezza del mattino. Finalmente era riuscita a dormire qualche ora. Era andata in bagno alle due di notte, quindi aveva dormito circa quattro ore che per lei erano un vero record. Sicuramente non era stato un sonno tranquillo visto il modo brusco di risvegliarsi e l’agitazione, ma non ricordava tutto l’incubo quindi lo considerava positivo.
Era un po’ presto, ma decise di alzarsi. Si sentiva abbastanza riposata; quattro ore di sonno agitato erano sempre meglio di una sola ora distesa nel letto con gli occhi chiusi in attesa di addormentarsi. Doveva concentrarsi su quel dettaglio per superare la giornata.
Si lavò e si vestì con cura, impiegò persino più tempo del solito per sistemarsi i capelli e truccarsi un po’. Nonostante tutto, sentiva di avere più energia rispetto agli altri giorni e decise di approfittare al massimo.
Arrivò al lavoro, prese un caffè assieme ai suoi colleghi e poi, guardando la scaletta delle cose da fare per quel giorno, iniziò a lavorare. Riuscì a concentrarsi talmente bene che non si rese conto nemmeno del tempo che era passato. Decise di finire un altro punto della lista del giorno e poi fare una pausa.
Guardò il necessario e si accorse che le servivano alcuni documenti che si trovavano in archivio. Non era tra i suoi posti preferiti, ma non poteva fare altro che andare lì. Tre piani di scale con i tacchi non erano proprio facili da fare, ma era meglio dell’ascensore. Lo prendeva solo quando c’era qualcuno con lei e quando aveva la borsa pesante, altrimenti non entrava in quella che lei riteneva una gabbia di metallo che poteva accartocciarsi su se stessa in qualsiasi momento.
Una volta arrivata nel seminterrato, sentì dei brividi. Nonostante il cado atroce che l’estate aveva portato in quei giorni, in quel posto faceva sempre freddo. Forse era solo autosuggestione la sua, tuttavia sentiva davvero freddo. Le maniche corte della camicetta e la gonna non la aiutavano di certo, vista la pelle esposta a quella aria fresca. Passò la porta della centrale termica e poi arrivò all’archivio. Non le era mai piaciuto come posto ed era contenta che finalmente avrebbero spostato tutto ai piani superiori. Dopo diversi dibattiti, avevano deciso di fare un nuovo archivio e sistemare tutto con un nuovo modo di catalogare i documenti, in modo decisamente più efficiente.
Aprì la porta e fu investita dall’aria fredda. La temperatura dell’ufficio era decisamente più bassa rispetto a quella presente fuori, ma l’archivio in confronto sembrava il polo nord. Alcuni documenti dovevano essere conservati tenendo delle condizioni ambientali molto precise. Temperatura, pressione e umidità di quella stanza erano controllate da un sistema automatico. Poteva essere un bel posto dove stare d’estate, se non fosse buio e un po’ troppo freddo tenendo conto della differenza termica tra fuori e dentro.
Rabbrividì e andò dritta nell’angolo dove c’era la postazione con il computer per vedere la posizione dei documenti che le servivano. Non ebbe nemmeno il tempo di trovare e scriversi le informazioni che le interessavano, che la luce si spense. Succedeva solo se qualcuno passava troppo tempo là dentro, per evitare che la dimenticasse accesa una volta uscito, ma lei era appena entrata. La cosa strana era che anche lo schermo del computer si era spento e non reagiva al suo tocco. Sbuffò e aspettò che le luci di emergenza si accendessero.
Purtroppo, attese inutilmente. Quando si rese conto che non si sarebbero accese e quello significava che l’intero sistema aveva un problema, si affrettò verso l’uscita, o almeno verso il punto dove lei pensava fosse la porta. Urtò qualche scaffale e dopo un po’ si fermò perché aveva perso completamente l’orientamento. Al tocco era tutto uguale e questo non le era per niente d’aiuto.
Si mosse piano e inciampò nuovamente, cadendo rovinosamente a terra. Sentì un dolore forte alla testa e una strana sensazione di dejà vu. Si mosse piano sul pavimento freddo che al tatto era quasi bagnato. Si alzò, con la testa ancora dolorante, tolse le scarpe per paura di cadere nuovamente e rabbrividì ancora, maledicendo il momento in cui aveva deciso di indossare una gonna e delle scarpe con il tacco invece delle sue comode ballerine.
Avanzò un po’ alla volta mentre teneva le mani davanti a sé per sentire gli ostacoli. Incontrò uno degli scaffali, così si girò ma il suo movimento un po’ troppo brusco le fece perdere l’equilibrio. Un solo istante di disattenzione fu sufficiente per dare inizio a un disastro.
Per non cadere ancora, si aggrappò a un ripiano e nella sfortuna trovò proprio uno di quelli non inchiodati alle pareti. Scatole e raccoglitori iniziarono a cadere sopra la sua testa, sulla schiena, scivolò e si ritrovò a terra con una caviglia che faceva malissimo mentre, come pezzi di domino, raccoglitori pieni di documenti la stavano sotterrando.
Iniziava a respirare con più fatica e in quel momento, come se avesse schiacciato un interruttore, ricordò l’incubo che aveva fatto. Si rese conto che la situazione e ciò che provava era simile a ciò che aveva sentito durante quelle poche ore di sonno e al risveglio la mattina. Si chiese se non stesse sognando ancora.
Udì delle voci e provò ad urlare, ma faceva sempre più fatica a respirare. Chiuse gli occhi e decise di lasciarsi andare, sperando di svegliarsi proprio come aveva fatto quella mattina.
Una voce vicina la chiamò e aprì gli occhi con fatica. La luce la stava accecando. Vide una stanza dalle mura bianche, sentì un odore pungente di disinfettante e si rese conto di essere in ospedale. Accanto a lei c’era la sua collega che sorrideva sollevata.
Le raccontò che l’avevano trovata svenuta in archivio subito dopo che il sistema di sicurezza aveva dato l’allarme. Probabilmente aveva avuto un calo di pressione ed era caduta, staccando per sbaglio il cavo del computer, spegnendo tutto. Si era solo storta la caviglia ed era stata trasportata in ospedale per sicurezza. Il tutto era durato sì e no un paio di minuti, le spiegarono che l’allarme era scattato subito e i suoi colleghi si erano attivati velocemente anche con i soccorsi.
Non aveva distrutto l’archivio, non aveva rovesciato nemmeno un raccoglitore. I medici le avevano detto che probabilmente la sua mente aveva riportato a galla l’incubo e quindi lei aveva confuso realtà e sogno.
Si diede della stupida, si era fatta condizionare così tanto dall’incubo e la mancanza di sonno l’aveva portata ad immaginare tutto, probabilmente mentre era al sicuro nel letto d’ospedale sotto la sorveglianza dei medici. Scoppiò a ridere perché la situazione era davvero surreale e solo lei, con la sua fantasia, poteva creare una simile versione distorta dei fatti. Fortunatamente nulla era come lei aveva sognato. Si era aspettata il peggio quando avrebbe soltanto dovuto calmarsi e non farti condizionare dalla sua stessa ansia.
Era al sicuro e quello era davvero importante.
Disclaimer & copyright
Il contenuto del racconto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
Per altri racconti –> Racconti
Ciao Liv!
Questa storia è breve ma senza fiato. Davvero interessante l’idea di confondere realtà e sogno in modo da intrigare il lettore. Anche lo stile è scorrevole. Bel racconto, alla prossima 🙂
Ti capisco. Anch’io pensavo che scrivere una one-shot sarebbe stato uno scherzo ma poi… La mente non ha collaborato per un bel po’. La tua storia mi è piaciuta. Certo, non è del genere che mi piace leggere di solito ma il tuo stile me l’ha resa abbastanza piacevole.