“Incontri e scontri capitolo 2” Storytelling Chronicles

“Incontri e scontri capitolo 2” Storytelling Chronicles

Introduzione racconto storytelling chronicles “Incontri e scontri capitolo 2”

Siamo ormai a marzo ed ecco a voi il racconto per la rubrica Storytelling Chronicles organizzata da Lady C di La Nicchia Letteraria. Il tema questa volta è un po’ particolare: c’è un tema mensile e uno annuale. Per l’anno 2025 scriveremo una raccolta di racconti con lo stesso personaggio principale che deve compiere la sua crescita personale attraverso le avventure mensili. Ogni racconto mensile avrà una sua tematica che aiuterà il nostro sfortunato protagonista di turno di vivere le sue avventure.

La lunga lista di elementi da incastrare dentro il racconto mi ha portato a scrivere senza sapere esattamente dove stavo andando. Così la ragazza del primo racconto quasi non c’è più perché qui racconta un’altra faccia che mostra solo a volte. Dove ci porterà questo nuovo elemento? Non lo so nemmeno io, ma Jess pare aperta a vivere diverse avventure.

Capitolo 1 lo trovate qui: Incontri e scontri

storytelling chronicles copertina

Il racconto doveva contenere la seguente lista di cose, per la pillola rossa che io, ahimè, ho scelto a inizio anno.

  1. Inserire una scena d’amore (esempi pratici: un bacio, un abbraccio, ecc.) che NON DEVE vivere il protagonista.
  2. Inserire una scena d’odio (esempi pratici: una rissa, insulti che volano, body shaming, ecc.) che NON DEVE vivere il protagonista.
  3. Inserire una scena malinconica (esempi pratici: il richiamo a un ricordo doloroso che ancora ferisce, rendersi conto di non essere abbastanza, ecc.). La DEVE vivere il protagonista.
  4. Inserire una scena che voi stesse avete vissuto nella vita reale, ovviamente contestualizzata a dovere rispetto il vostro racconto.
  5. Inserire almeno una frase atomica.
  6. FACOLTATIVO: inserire, a mo’ di flusso di coscienza, un pensiero filosofico proprio del protagonista. Esempi: cosa pensa del razzismo, cosa pensa della cultura woke, cosa pensa dell’omofobia, cosa pensa del politically correct, ecc..
  7. Il protagonista deve introdurci all’ambientazione spaziale: cosa si trova nel quartiere dove è in questo momento? Cosa vede? Deve “raccontare” la vita che osserva.
  8. Accennare a UN SOLO personaggio secondario che è apparso nel primo capitolo, senza però inserirlo fisicamente.
  9. Mantenere approssimativamente la stessa lunghezza del primo capitolo per evitare di creare un fastidioso disequilibrio.
  10. FACOLTATIVO: inserire un solo paragrafo (MASSIMO 250 PAROLE) in cui il pov viene cambiato. Se state scrivendo in prima persona, scrivete in terza mantenendo sempre il focus sul main character. Se invece state adottando la terza, date finalmente voce al personaggio principale con la prima persona).

Ed ecco a voi cosa è venuto fuori. Buona lettura.

Incontri e scontri capitolo 2 

Jess si svegliò appena sentì il suono squillante della sveglia. Con gli occhi ancora chiusi, allungò la mano verso il comodino, trovò il telefono e la spense. Non aveva bisogno di rimandarla perché sapeva che appena sarebbe suonata la prima volta, lei si sarebbe svegliata. Era sempre stato così, perché doveva essere puntuale e le avevano insegnato quello da quando era bambina. Solo nei giorni festivi o durante le vacanze, come in quel caso, si concedeva qualche minuto nel letto prima di alzarsi. Aveva così il tempo per pensare a cosa avrebbe dovuto fare durante la giornata. Sapeva che probabilmente quelli sarebbero stati i pochi momenti dove poteva essere se stessa senza che qualcuno la sgridasse o le dicesse qualche commento negativo sul suo comportamento o sul suo modo di vestire.

Quella era una delle ragioni per le quali non amava molto tornare a casa per le feste. A questa si aggiungeva il fatto che doveva indossare dei vestiti che andassero bene per il suo status sociale, doveva stare attenta a come abbinava i colori, a come si sedeva, come parlava e persino come mangiava. Non doveva parlare delle sue passioni ritenute strane o dei suoi studi che non fossero quelli di economia.

Era una cosa che Jess aveva sempre sopportato poco nonostante fosse nata e cresciuta in quel mondo così rigido. Quando sentiva le persone dire che le regole seguite dalle varie famiglie reali erano assurde o persino inventate, rideva dentro di sé. Allo stesso tempo invidiava quella loro ingenuità. Indossare vestiti non troppo corti né tropo lunghi, abbinare i colori alle varie occasioni prestando attenzione al significato potenzialmente nascosto, indossare le scarpe giuste fregandosene della comodità o dei gusti personali, sedersi in un certo modo, non accavallare le gambe, non ridere o non parlare in un certo modo, erano regole molto reali che venivano seguite dal mondo dell’élite finanziaria, nel mondo degli affari, oltre a quello della diplomazia o della politica. E se per caso questi mondi si mescolavano a qualche evento, la lista di cosa fare o non fare, si allungava in modo non indifferente.

Jess sapeva che le sue vacanze sarebbero state piene di eventi del genere: brunch o colazioni con amiche di sua madre e le loro figlie, giri di shopping per i negozi più costosi, cene tra pochi intimi che erano formali quasi quanto quelle di un membro della famiglia reale, eventi di gala dove ogni dettaglio sarebbe stato guardato, valutato e commentato scrupolosamente.

Jess sentì la voce di sua madre in corridoio e sospirando, scese dal letto. La sua breve pace era finita perché doveva mettersi la maschera e andare in scena. Non fece nemmeno in tempo di andare verso il bagno, che la porta della stanza si aprì all’improvviso. Ovviamente non si sentì nessun rumore perché persino quando spalancava una porta, sua madre lo faceva con grazia e con movimenti controllati. Non l’aveva mai vista perdere il suo autocontrollo, nemmeno quando si era davvero arrabbiata. Jess non sapeva se invidiare quella capacità o compatirla.

Guardò sua madre: truccata, con l’acconciatura semplice ma elegante e perfetta già alle nove del mattino. I pantaloni e il maglioncino, che formavano una combinazione più costosa dello stipendio di diverse persone normali, erano il suo abbigliamento comodo per stare in casa e sbrigare eventualmente poche commissioni. Un colore tenue, beige, abbinato a dei gioielli molto semplici e un trucco naturale. Jess la guardò e si sforzò di ricordare quando avesse visto sua madre con qualcosa fuori posto e non riuscì a trovare nemmeno un episodio. Allora provò con suo padre e il risultato fu lo stesso. Ogni giorno in giacca e cravatta, con maglioncino e un paio di jeans classici nelle giornate informali in casa. Persino i pigiami erano seri, di seta, semplici, colori scuri.

«Avevo sentito la tua sveglia quindi ho immaginato fossi già in piedi. Dovresti prepararti, dobbiamo sistemare gli ultimi dettagli per la festa di sabato. E so che andrai a un evento con Clarice stasera; quindi, il tempo a disposizione sarà ancora di meno.» Sua madre era calma e tranquilla mentre iniziò a spiegarle il programma della giornata, così dettagliato da far invidia ai migliori organizzatori di qualsiasi evento di stato.

Jess si limitò ad annuire e andò in bagno per prepararsi. Si sciacquò la faccia con acqua fredda un paio di volte, cercando di mettere a fuoco la quantità di impegni che sua madre le aveva organizzato. La colazione e la mattinata di shopping potevano sembrare momenti rilassanti; invece, avevano lo scopo di parlare del gala del fine settimana, di cosa era all’ultima moda e di come lei doveva sforzarsi per non sembrare strana in tutti quelli incontri con gli amici di famiglia o i soci di suo padre.

Si guardò allo specchio e per qualche istante analizzò l’immagine: alle sue spalle c’era una grande vasca con un angolo fornito di ogni tipo di prodotto per la cura dei capelli e del corpo, una pila di asciugamani perfettamente piegati, soffici e morbidi, i toni caldi crema e legno davano un tocco elegante, come se quella stanza fosse una spa. Nell’angolo c’era la doccia con vapore e luci, l’ultimo modello che forse solo gli alberghi a cinque stelle la mettevano nelle stanze, il vetro perfettamente pulito senza l’ombra di un alone, l’accappatoio bianco mai usato appeso accanto a un altro asciugamano enorme piegato su una sedia.

La grande vetrata faceva entrare parecchia luce dal lato opposto dove sua madre aveva posizionato il mobiletto per il trucco. Un tavolino con uno specchio che sembrava uscito dalla pubblicità di una casa delle bambole, dove tutto stava in ordine come in una vetrina di un negozio.

Jess guardò tutto quello e si rese conto che non aveva mai usato nessuno dei prodotti su quel tavolino perché girava sempre con una borsetta con poche cose che le piacevano, e che dei vari prodotti messi sul bordo della vasca, ne aveva forse usati un paio. Anche se era sicura che tutti fossero nuovi e mai aperti perché erano passati mesi dalla sua ultima visita ai suoi genitori.

Quel bagno era stato cambiato e ampliato quando era al primo anno di college. Aveva iniziato i corsi e quando era tornata per le vacanze di Natale, aveva trovato la sua camera completamente diversa e spostata in un’altra ala della casa: i colori rosa e azzurro pastello presenti prima erano scomparsi, delle stelle sul soffitto non c’era più l’ombra e nemmeno del suo baldacchino. La scrivania e la libreria erano state spostate in una stanza accanto, che era diventata il suo studio. Il bagno occupava il triplo dello spazio rispetto a prima, così come la camera da letto e il suo guardaroba. Tutto esagerato, un intero appartamento solo per dormire qualche sera e farsi la doccia quando era lì. Perfetto e curato, come se fosse solo da mostrare ma non usare veramente. E in fondo era così per la maggior parte delle cose di quella vita.

Jess prese un respiro profondo e pensò a quando aveva compreso di essere diversa dalla maggior parte dei suoi compagni di classe. Le sarebbe piaciuto dire di essere una ribelle da sempre, che era contro quel sistema e non le piaceva il mondo in cui viveva, ma sarebbe stato ipocrita e falso da parte sua. Quando era alle elementari, andava in una scuola pubblica. Una delle migliori, con tanti progetti interessanti per l’educazione dei bambini, ma non era considerata una scuola d’élite. La ragione di quella scelta era molto semplice: suo padre cercava di farsi un nome tra i politici con i quali collaborava spesso per affari e doveva mostrarsi umile e allo stesso tempo sottolineare come l’istruzione non dipendesse dai soldi di una famiglia.

Jess aveva imparato presto che quello che suo padre cercava di mostrare al mondo era solo una facciata ben costruita, ma era una bugia. Molti dei progetti venivano finanziati da lui o dai suoi amici, nelle altre scuole non ci sarebbe stata la possibilità di provare diversi strumenti musicali o di averli in prestito dalla scuola, i ragazzini non facevano un mese di gita studio in estate in un campo dove potevano fare sport, giocare e studiare sempre seguiti da personale molto preparato e attento a ogni loro esigenza. Tutto fu chiaro quando durante uno di quei campi estivi, lei raccontò le sue vacanze e i suoi compagni la presero in giro perché secondo loro si stava inventando tutto.

Scoprì così che le lezioni di pianoforte con un insegnante privato a casa le faceva solo lei e un’altra compagna, che le giornate di shopping erano una cosa rara per quasi tutti, tranne nel momento in cui erano assolutamente necessari nuovi indumenti, che i fine settimana a sciare oppure le vacanze di pochi giorni a vedere nuovi capitali del mondo era una cosa che faceva solo lei e forse un altro compagno. Quando poi dovettero descrivere la loro camera e la casa nella quale vivevano, Jess ascoltò attentamente tutti e per non essere di nuovo indicata come bugiarda, mentì. Disse di avere un letto a una scrivania con una piccola libreria e una piccola lavagna sopra per mettere le foto con i suoi amici.

In realtà la sua stanza era molto più grande di come l’aveva descritta e persino a quella età capì che forse lei viveva in un modo esagerato. Lei aveva un baldacchino con le tendine in seta lilla pastello, il soffitto era disegnato con le varie costellazioni, la sua scrivania faceva indivia a quella della direttrice del campo, aveva un computer a sua completa disposizione, la libreria conteneva in realtà centinaia di volumi e non solo un paio di libri, aveva una sua cabina armadio e persino una tv sul muro. Inoltre, in casa avevano una piscina riscaldata, una spa e una sala cinema. Cosa che nessuno dei suoi compagni di classe poteva immaginare dentro una casa. Alle medie la situazione continuò semplicemente ad evolvere e Jess, crescendo, comprese meglio i dettagli e si fece una opinione sua.

Lei era un a privilegiata e se avesse condiviso ciò che faceva con i suoi compagni, le avrebbero detto che esagerava o che voleva solo vantarsi. Così prendeva sempre ciò che faceva e cercava di eliminare tutto il superfluo. Aveva imparato a non usare parole come cabina armadio o guardaroba, ma che era meglio dire solo armadio, non doveva dire “il mio bagno” ma solo “bagno” perché i suoi compagni non ne avevano uno loro privato, evitava di dire qualsiasi marca dei vestiti o delle scarpe, non raccontava più delle lezioni private ma diceva semplicemente che studiava quel determinato strumento come se andasse in una scuola normale, quando faceva le vacanze evitava di nominare i posti così sciare sulle Alpi Svizzere diventava solo una vacanza in montagna a vedere la neve, girare per Londra o fare shopping a Parigi era solo un giro al centro commerciale o una passeggiata nella città vicina.

Al penultimo anno, quando tutti iniziavano a parlare delle scelte delle scuole superiori e delle vacanze che avrebbero fatto, Jess tornò un giorno a casa e ricordava ancora le parole che disse a sua madre. “Mamma, perché noi siamo così diversi dai miei compagni? Loro non hanno una sala cinema in casa, vanno al centro commerciale a vedere i film, non prendono lezioni di etichetta e non vanno a sciare in Svizzera. Molti di loro non sanno nemmeno cosa significa sciare. Mi pare che loro vivano nel mondo reale mentre noi sembriamo vivere in una favola. Se racconto come è la nostra casa mi dicono che sto esagerando, se dico di aver comprato un paio di scarpe a Parigi, mi dicono che sto mentendo solo per far colpo e far finta di essere migliore di loro. Ma io non voglio essere migliore, voglio solo raccontare ciò che ho fatto durante le vacanze, proprio come fanno loro.”

Sua madre le spiegò che erano fortunati e che avevano più possibilità di molte altre persone e che quelle possibilità davano anche dei compiti e delle responsabilità in più.

Il discorso di Monica fu molto più lungo ed elaborato, ma Jess comprese una cosa: era diversa dalla maggior parte dei bambini e doveva adattarsi alla vita, con i suoi pregi e soprattutto con le sue limitazioni.

Alle superiori andò in una scuola privata dove condivideva lo stile di vita con molti dei suoi compagni; tuttavia, dopo anni passati ad evitare i dettagli e i racconti troppo precisi, era difficile perdere le abitudini. Con il passare del tempo si rese conto che avere la possibilità di fare ciò che desiderava, anche come provare un nuovo sport solo per vedere come fosse, era una cosa decisamente bella e aveva iniziato a vedere il mondo in modo diverso: non odiava più essere diversa, ma capiva che il mondo in cui viveva le dava molte possibilità che altri non avevano, così come le toglieva tante libertà.

Il segreto era nel trovare un equilibrio per non perdere se stessa. Motivo per il quale, al college, evitò di dire di chi fosse figlia, non fece mai nessun accenno a dove viveva o cosa faceva quando tornava a casa, era diventata sempre più brava a raccontare la verità omettendo così tanti dettagli da trasformarla in qualcosa di diverso. E aveva continuato così per tutto il tempo.

Aprì gli occhi tornando al presente e senza indugiare ancora, si tolse il suo pigiama con i gattini che sua madre non approvava, si lavò, si vestì con dei jeans e un maglioncino che non ricordava nemmeno di avere, e uscì dalla camera in tempo per rispettare il programma della giornata stabilito da sua madre.

Dopo aver girato un numero infinito di negozi ed essere uscite con altrettante borse, cose di cui Jess non sentiva davvero il bisogno, si fece un bagno caldo e iniziò a prepararsi per la serata. Lei e Clarice erano amiche anche se avevano un rapporto strano: non condividevano troppe cose personali, studiavano in due posti diversi, si sentivano raramente, ma si sostenevano nei periodi in cui entrambe dovevano sopportare i gala o le cene formali troppo lunghe. Erano più due socie in quei momenti, si guardavano le spalle in modo da essere sempre al meglio, si correggevano se qualcosa era fuori posto oppure offrivano delle spiegazioni e scuse quando una delle due aveva bisogno di un momento di pace.

Non condividevano molti momenti personali, non parlavano dei loro ragazzi o delle loro esperienze, se non quelle dei vari eventi e di come sopravvivere in quel mondo. Era un accordo non scritto tra loro, due anime che non erano riuscite trovare se stesse in quel posto pieno di cose troppo luccicanti.

Jess indossò dei jeans scuri, una camicetta blu elettrico, raccolse i capelli in una coda alta, applicò un po’ di trucco più scuro del solito e poi prese capotto e borsetta e uscì. Della ragazza che girava con felpe scure e anonime, con un mucchio di libri in braccio al college, non c’era più traccia.

Davanti all’entrata la stava aspettando un taxi con Clarice, vestita per fare una sfilata.

«Tua madre non ti ha detto che risulti troppo semplice per una serata in un club pieno di gente altolocata?» Clarisse la esaminò da testa a piedi notando i vari dettagli dell’abbigliamento scelto da Jess per quella festa.

«Ho avuto la fortuna di non incontrarla, era nello studio a vedere gli ultimi dettagli per il pranzo di Natale oltre che della cena di domani sera, quindi non ha prestato attenzione a cosa stessi indossando.»

«Sei stata fortunata allora. La mia ha bocciato ogni mia proposta dicendo che non potevo mettere qualcosa di già usato, che avevo assoluto bisogno di fare shopping a breve, che il vestito scelto da me era troppo sobrio così mi sono cambiata prendendo in prestito qualcosa da mia cugina. Non posso certo rischiare di finire sulle pagine di qualche rivista di gossip con un vestito già indossato. Non riesco mai a capire quando sono troppo semplice, troppo sobria o troppo esagerata. Giuro, io ho persino preso appunti ma nella maggior parte dei casi non vado bene per i suoi standard.» Clarice sospirò. Si leggeva sul suo viso quanto fosse sconsolata e triste.

 Alba, sua madre, era una donna che amava la moda, l’eleganza, ma era quasi ossessionata da ogni dettaglio. Clarice doveva essere al massimo in ogni momento e doveva rappresentare bene l’immagine che gli altri si aspettavano di vedere. Jess non la invidiava perché tutto sommato lei aveva dei momenti di libertà, come al college, mentre Clarice non aveva nemmeno quelli. Se fosse andata in discoteca, non sarebbe stato possibile indossare qualcosa di semplice ma doveva essere sgargiante. Il suo abbigliamento e i suoi accessori dovevano gridare “festa sfrenata e importante” da soli. Infatti, quella sera indossava un abito ramato pieno di strass, scarpe con tacco vertiginoso, la borsetta dorata e i capelli biondi sciolti in boccoli perfetti e il trucco da diva.

«Come devo farti la foto stasera e a chi la vendiamo questa volta?» Jess la guardò e l’altra sorrise, comprendendo subito il messaggio.

«Potrei pagare uno sconosciuto per ballare con me in modo un po’ esplicito, faremmo un affare con delle foto del genere. Cosa ne dici?»

«Affare fatto, socia.» Jess strinse la mano di Clarice e sorrisero entrambe. Anni prima avevano inventato questo trucco e lo avevano usato spesso da allora. Siccome la madre di Clarice era stata una modella famosa, per lei era troppo brutto che sua figlia non finisse mai in prima pagina di qualche rivista perché significava che nessun ne parlava e quindi non la ritenevano abbastanza importante.

Per scherzo, una volta, Jess le aveva fatto una foto buffa mentre beveva un cocktail e la mandò a una rivista, in anonimo. La foto aveva fatto notizia subito, sollevando dubbi su cosa ci fosse nel bicchiere e su cosa avesse davvero bevuto la ragazza che non aveva ancora l’età per gli alcolici. Il bicchiere conteneva solo diversi succhi di frutta, ma nessuno lo sapeva ovviamente. Alba fu felice dell’interessamento. Anche se alcuni commenti non erano positivi, ma diceva fosse un sacrificio da pagare perché la gente la notasse e si interessasse a lei.

Dopo quella prima volta, Jess e Clarice avevano venduto diversi scoop e foto ai giornali. I soldi che ricavano li dividevano a metà, usandoli per cose che i loro genitori non avrebbero approvato. Era triste che dovevano scegliere cosa vendere della loro immagine, ma se dovevano finire sulle pagine di gossip e leggere commenti di ogni genere e tipo, erano convinte di dover anche guadagnare qualcosa. A volte c’erano le foto dei paparazzi sui quali non avevano nessun controllo, ma compensavano con momenti come quelli.

Arrivarono nel parcheggio del club e con un grande sorriso, scesero dal taxi e andarono verso l’entrata. Senza nemmeno attendere, dopo alcuni momenti erano dentro, con un drink in mano, a salutare altre persone. Alla fine, conoscevano metà della gente presente nel club, ma in un modo o nell’altro si erano già incontrati tutti a qualche evento. Jess pensò che quel mondo fosse strano perché si conoscevano e si vedevano spesso, ma alla fine pochi di loro avevano davvero un rapporto vero basato su qualcosa di più della semplice cortesia e apparenza. Persino la particolare amicizia tra lei e Clarice era molto più vera, sincera e solida di molti rapporti lì.

Iniziarono a ballare, dando persino spettacolo come ci si aspettava da loro. Quando iniziò una canzone lenta e sensuale e Clarice diede il segnale a Jess, questa tirò fuori il telefono e fece le foto. Avrebbero poi scelto la migliore e avrebbero scritto una didascalia convincente perché qualcuno la pubblicasse il giorno dopo senza riflettere troppo sulla provenienza.

Contenta del risultato, Jess mise via il telefono e restò a bordo pista ondeggiando piano, guardando gli altri ballare. Vide una coppia, non lontano da lei, che stava ballando guardandosi negli occhi e parlando piano. Potevano persino urlare, perché con la musica nessuno li avrebbe davvero sentiti, ma il modo in cui muovevano le labbra indicava che stessero appena sussurrando come se parlassero una lingua conosciuta solo da loro. Lei sorrideva ed era persa, si vedeva dal suo sguardo la felicità di essere lì, in quel momento, a condividere qualcosa con quel ragazzo. Lui invece non aveva occhi che per lei, quando si era allontanata a dire una cosa a un’amica, lui l’aveva seguita con lo sguardo, era come se il mondo attorno non esistesse.

Jess provò un po’ di invidia mista a malinconia quando i due si baciarono. Non era un bacio dettato dalla lussuria, dalla disinibizione creata dall’alcol, ma solo dal desiderio di sfiorar appena l’altro. Jess non aveva mia condiviso momenti del genere con nessuno, aveva ventidue anni, ma una simile intimità e fiducia nell’altro non l’aveva mai provata davvero.

Si girò a cercare Clarice e questa le confermo che era ora di andare via. I loro genitori sapevano che dopo la serata nel club, era prevista una sosta a una festa privata esclusiva. In realtà Clarice aveva i suoi piani e Jess voleva solo buttarsi su un letto e togliere i tacchi che le stavano uccidendo i piedi.

Si salutarono e quando Clarice salì su una macchina che la stava aspettando, Jess si incamminò verso l’uscita del parcheggio per prendere un taxi. Un urlo la fece voltare e vide un gruppo di persone che cercavano di separare due ragazzi. Non riusciva a capire le parole che si urlavano, al di là degli insulti, ma poteva immaginare che non fossero proprio gentili. Uno di questi aveva il labbro spaccato, ma le sue nocche indicavano di aver colpito forte l’altro. Sembrava un ragazzo carino e la rabbia sul suo volto lo rendeva solo più duro, non deformava la sua bellezza. Jess guardò un secondo di troppo verso quel ragazzo e incrociò per un attimo il suo sguardo. Non volendo trovarsi in mezzo alla rissa o alle sue conseguenze, se questa fosse degenerata, si girò velocemente e si incamminò verso l’uscita.

Purtroppo, non guardò bene dove stava mettendo i piedi e nella fretta non vide il tombino storto. Il piede, appoggiato male sul bordo, la portò a sbilanciarsi e a cadere brutalmente sull’asfalto. La caviglia destra aveva fatto un brutto movimento, il ginocchio sinistro che aveva appoggiato a terrà non sembrava più integro quando si tirò su. Il polso destro aveva attutito un po’ la caduta graffiandosi e il gomito sinistro era stato sacrificato per non rompere il telefono. Il risultato non era dei migliori. Si alzò in fretta, si pulì i jeans e andò avanti cercando di sembrare normale, come se non si fosse schiantata a terra malamente nel mezzo di un parcheggio.

Arrivò all’uscita e prese il primo taxi in fila, dando l’indirizzo di destinazione, senza fare nessuna smorfia di dolore anche se il ginocchio protestava non poco.

Sospirò sollevata sperando che nessuno l’avesse vista e ringraziò dentro di sé che era accaduto di notte e lontano dal campus. Una scena del genere poteva essere molto peggio di quella dove aveva rovesciato il succo sui pantaloni del suo ormai dichiarato nemico Nicholas. In una situazione del genere, lui le avrebbe ricordato la caduta ogni giorno e lei avrebbe cambiato paese, altrimenti avrebbe trovato un modo per far sparire lui nel nulla.

Arrivò in poco tempo a destinazione, pagò e scese, imprecando mentalmente. Non le era permesso di farlo a voce alta, così alcuni pensieri li teneva per se stessa persino quando era sola.

Entrò in casa cercando di non fare troppo rumore, andò dritta in camera ringraziando di stare in un’ala diversa rispetto ai suoi genitori. In quel momento le serviva la privacy necessaria per vedere i danni creati dalla caduta. Salì le scale imprecando nuovamente, entrò nella sua stanza e si mise piano sul letto, cercando di togliere gli stivaletti. Respirò profondamente per non lasciar scendere le lacrime mentre la caviglia stava urlando.

Non era un buon risultato prima di Natale e Jess non sapeva come spiegare tutto a sua madre. Sbuffò e andò in bagno a lavarsi e cercare qualche pomata nell’armadietto delle medicine. Il giorno dopo avrebbe pensato a una spiegazione logica per quella caduta, omettendo la rissa, la vendita delle foto di Clarice o il suo accompagnatore misterioso che era venuta a prenderla presto. Ci avrebbe pensato con calma a tutto, dopo aver riposato e fasciato per bene ginocchio e caviglia sperando di fare miracoli.

Informazioni aggiuntive racconto

Vi devo spiegare la scena che io ho vissuto nella vita reale e che ho fatto vivere alla protagonista. Pensate sia una festa sfrenata o quel mega bagno che ha la protagonista? Oppure una serata di gala che si avvicina? Ebbene, no. La mia fortuna è un po’ più limitata e la scena che io ho vissuto in prima persona è ovviamente la caduta della protagonista. Io sono caduta di giorno, nel parcheggio di un benzinaio, quindi non dopo una festa ahimè.

La cosa vera è che mi sono distrutta la caviglia destra stirando qualsiasi legamento possibile (sono stata ferma con la cavigliera quasi due mesi), ho preso una botta al ginocchio sinistro che è diventato doppio rispetto all’altro, non si piegava nemmeno. Ho preso una botta al gomito sinistro cercando di salvare il telefono (e sì, sono riuscita a salvare almeno quello). E ovviamente mi sono graffiata il polso destro cercando di fermare la caduta. No, non sto esagerando, io e i tombini abbiamo un rapporto difficile.

Disclaimer & copyright

Il contenuto del racconto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.

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