Nota
Il racconto “La strada verso la vita” partecipa all’evento Storytelling Chronicles organizzato da Lady C di La nicchia letteraria. Ormai è una sfida partecipare ogni mese e mettersi alla prova con nuovi spunti e nuove consegne.
Per il mese di Aprile il tema era l’immagine che potete vedere accanto.
Non è stato facile scrivere qualcosa, per quanto un’immagine possa aiutare per l’ambientazione. Si poteva scrivere qualsiasi cosa, positiva o meno, strappalacrime o felice, insomma ci si poteva sbizzarrire.
Come ho detto a Lady C. ho iniziato a scrivere questa storia senza sapere cosa avrei effettivamente scritto e ho finito il racconto senza sapere cosa ho scritto davvero. Un sentimento strano sicuramente.
Trama
Il protagonista è un ragazzo molto giovane che intraprende un viaggio in una foresta oscura e parecchio terrificante per trovare la libertà e una nuova vita migliore da quella dalla quale sta scappando.
La strada verso la vita
I raggi di sole si perdono piano tra la polvere e l’oscurità della foresta. Riescono appena a illuminare pezzi di strada davanti a lui, sembrano solo la lucina alla fine del tunnel. Creano ombre che sono spaventose se unite ai suoni sinistri di qualche animale e ai sussurri delle foglie in balia del vento. Appena poggia un piede a terra sente il rumore di qualche piccolo ramo che si spezza, di foglie morte che scivolano o si polverizzano sotto il peso di quei passi lenti e calcolati. Attorno c’è solo vegetazione, il verde scuro di un albero si confonde con quello di un altro, tanto che non si sa effettivamente dove inizi uno e dove finisca un altro. Arbusti cresciuti in modo del tutto spontaneo coprono quello che una volta doveva essere un sentiero ben tracciato, lasciando piccoli spazi per passare solo qua e là.
La natura ha affermato il suo regno decidendo dove espandersi e non ha lasciato libero molto se non quella vecchia strada malmessa e dimenticata da tutti.
Il ragazzo fa un passo e poi si ferma. Ascolta tutto attorno a lui e poi fa un altro passo. Va avanti così, lentamente, da giorni. Non può permettersi di sbagliare, non dopo tutto quello che ha passato. Non lo spaventa solo la vegetazione cresciuta in modo spontaneo, gli alberi troppo alti o i suoni sinistri degli animali, non ha paura solo di scivolare e cadere in un dirupo o di inciampare in qualche ramo nascosto tra le foglie e sbattere la testa contro un sasso. Quello che lo spaventa davvero, che lo terrorizza più di tutto è che qualcuno lo trovi.
In quel bosco è difficile capire se ciò che si sente è un rumore fatto dalla natura nel suo normale corso, se è frutto della stanchezza e dell’immaginazione o se è prodotto da una squadra di uomini armati che non si faranno nessuna domanda e spareranno a vista. È quello che fa fermare il cuore del ragazzo ogni volta che un ramo si spezza, che un uccello spicca il volo muovendo dei rami. Non è solo la stanchezza a far tremare i suoi muscoli, ma il terrore di morire.
La morte potrebbe essere una liberazione per qualcuno, ma per lui non lo è mai stata. Ha sopportato molto per poter essere libero e la morte non è prevista nel suo piano. Sarebbe una vittoria per quei mostri. Basterebbe un secondo, qualche sparo e tutto sarebbe finito. Solo che questa sarebbe una sconfitta per lui e per chi non ce l’ha fatta, per tutte quelle vite spezzate troppo presto. Lui verrebbe dimenticato da tutti, morto in una foresta buia e lasciato lì come cibo per vermi e concime per gli alberi, senza una degna sepoltura, senza che qualcuno lo pianga, come un animale che non è più utile a nessuno.
Prende un respiro profondo e poi va avanti. La fame ormai non si sente più, il suo stomaco si è talmente abituato all’assenza di cibo che si ribella quando ne riceve troppo. Non che sia mai successo per lui negli ultimi tre anni. Era già un miracolo quando poteva mangiare una patata lessa intera, un vero banchetto squisito. Come quelli che una volta faceva sua nonna, li immaginava così i suoi pasti. Quando non hai più nulla, l’immaginazione è la tua unica strada per non impazzire. Ti permette di vedere le cose belle che la realtà ti nega ogni giorno.
Così, ogni volta che mangiava qualcosa, chiudeva gli occhi e ricordava i tempi della sua infanzia durata troppo poco. Vedeva sua nonna che con il suo sorriso dolce gli metteva davanti i piatti con il cibo migliore che riusciva a cucinare, dolci e pane appena sfornato, carne e pietanze squisite. Aveva l’imbarazzo della scelta. Poteva gustare un po’ di ognuno, quando desiderava. Poteva svegliarsi la mattina e bere il latte caldo e mangiare la torta di mele della nonna, oppure fare merenda con il the caldo e i biscotti al cioccolato. Erano tempi lontani quelli, i suoi ricordi più belli. Erano quei sorrisi, quel calore che aveva provato da piccolo, quell’amore che lo avevano spinto a fare quella impresa folle. Gli avevano permesso di sopportare tutto fino a quel momento, era grazie a loro che era ancora vivo.
La morte era un desiderio per molti ogni giorno, qualcuno preferiva quella che la misera esistenza che conduceva, eppure lui la trovava un grande torto per chi la morte non l’aveva scelta. Lui voleva vivere per tutti quelli che non erano riusciti a farlo. Togliersi la vita per lui era fare un torto a chi gliel’aveva data, a chi aveva preparato i biscotti e le torte per lui, a chi lo aveva lavato, vestito e vegliato durante le notti fredde dell’inverno. No, la morte non sarebbe mai stata una scelta per lui. Non finché era ancora in grado di alzarsi e combattere con i denti e le unghie per la sua libertà.
Vide un ruscello vicino e si fermò per bere un po’. Era un rischio, ma doveva correrlo perché un mal di pancia era nulla in confronto a ciò da cui era scappato.
Ricordava ancora quel giorno di tre anni prima quando tutto era iniziato. Sarebbe rimasto nella sua mente fino a quando avrebbe avuto respiro, nitido come se fosse appena successo. Si era svegliato tardi, era in vacanza e sua nonna lo lasciava sempre dormire fino a tardi. Si era vestito ed era ancora alla ricerca di quella torta di mele che la nonna aveva preparato la sera prima. Era squisita e ne voleva ancora. Prese la fetta in mano ma non arrivò mai a gustarla.
Si sentì un rumore fortissimo e la terra tremò. Lasciò cadere la torta e chiamò sua nonna. La trovo in giardino con gli occhi pieni di terrore. Gli disse solo di prendere la borsa che si trovava nella credenza in cucina e di scappare. Era confuso, ma quando la nonna glielo disse alzando la voce, lui eseguì. Doveva essere importante. La sentì gridare, incitarlo a correre e nascondersi il più lontano possibile senza mai girarsi dietro. E lui lo fece.
Andò sulla strada verso le colline e poi nel bosco e continuò a correre fino a quando non perse il fiato. Dormì tra gli alberi per alcuni giorni, perdendo la cognizione del tempo e dello spazio fino a quando l’inevitabile successe: fu catturato. Non sapeva da cosa stava scappando, fino a quel momento: uomini in divisa, armati, che urlavano ordini a destra e sinistra e appena qualcuno cercava di opporre resistenza, sparavano.
Fu portato in un carcere diventato accampamento e lasciato a terra incatenato come una bestia per giorni. Come lui c’erano tanti altri, uomini, ragazzi, donne che ormai avevano persino smesso di piangere. Non si preoccupavano più di essere sporchi, di fare i loro bisogni davanti agli altri o di guardare storto chiunque si avvicinasse troppo a loro. Stavano perdendo la loro umanità perché l’istinto alla sopravvivenza era più forte.
Dopo alcuni giorni, dei soldati dissero loro che erano fortunati ad essere lì. Avevano perso la guerra, ma sarebbero stati importanti per il futuro. Loro erano vivi e avrebbero lavorato per la costruzione del nuovo paese. Un paese che ormai non apparteneva più a nessuno di loro.
Così ebbe inizio l’inferno. Sveglia all’alba, lavoro nei campi fino a dopo il tramonto, cibo scarso, solo il necessario per restare in piedi e continuare a lavorare. Vestiti e scarpe ormai rotte, sporche e inadatte per il vento e le piogge fredde dell’autunno. Dormivano per terra, con gli occhi aperti, pronti a reagire e uccidere se necessario per sopravvivere. La fiducia era una cosa molto rara e quasi nessuno la concedeva facilmente. Non ci si poteva affezionare e fidare perché il giorno dopo la persona poteva tradirti per salvarsi. Non era sbagliato perché in fondo ognuno faceva il possibile per vivere e molti erano pronti a vendere la propria anima al diavolo se necessario. Era una legge non scritta, la si vedeva negli sguardi di tutti. La morale e l’etica erano ormai cose dimenticate.
Erano di fatto prigionieri di guerra. L’esercito aveva preso il comando e chi era favorevole a quel nuovo governo, poteva fare carriera e aveva davanti a sé la strada quasi spianata. Chi invece aveva provato a scappare, chi apparteneva a quelle famiglie che avevano combattuto a lungo per una democrazia vera, erano ormai prigionieri di guerra trattati peggio delle bestie. L’evoluzione in teoria aveva fatto il suo corso, ma la storia si ripeteva in modo quasi ciclico. La storia dell’umanità ahimè mette le sue radici nella guerra e pone le sue fondamenta su vittime collaterali e prigionieri.
Si svegliò all’improvviso e vide che attorno a lui tutto era buio. Si era addormentato non lontano dal ruscello senza nemmeno rendersi conto. La stanchezza era talmente tanta che non sapeva nemmeno da quanto tempo dormiva, se ore oppure giorni. Stranamente gli incubi lo avevano lasciato tranquillo. Si alzò e riprese a camminare, con la stessa attenzione di sempre.
In quei tre anni aveva imparato a sparare, a usare qualsiasi cosa a sua disposizione come arma, aveva imparato a non fidarsi, a non raccontare mai troppo di lui a nessuno. Aveva sviluppato una certa abilità a camminare senza fare rumore, a sopportare il caldo asciutto senza svenire e il freddo duro dell’inverno senza perdere le dita dei piedi. E soprattutto era diventato bravo ad ascoltare e a guardare i dettagli: rumori di passi, bisbigli, ordini, armi, fruste, cani da guardia, aveva un vero talento ormai per distinguerli. Nel villaggio era necessario abituarsi a quella routine e adattarsi ai cambiamenti repentini per potersi salvare.
Camminò per ore al buio, non era sicuro di dove potesse finire quella strada ma era certo che qualsiasi cosa fosse meglio del villaggio da dove era scappato. Una sera aveva deciso che era arrivato il momento di prendere in mano la sua vita e fuggire per cercare un futuro migliore. Non riusciva più a vedere le persone morire di stenti davanti a lui, a sentire le urla delle donne picchiate e violentate e degli uomini frustati e torturati. Era sempre più difficile sopportare quella impotenza che regnava sovrana in quel mondo. Non poteva più stare fermo e pensare solo a sopravvivere a un altro giorno.
Per mesi aveva raccolto prove, documenti sottratti alle guardie, nomi di prigionieri scomparsi, di soldati spietati che si divertivano a fare a gara a chi sparava meglio, usando le persone come bersagli. Le aveva nascoste programmando la sua fuga. Non voleva solo salvare se stesso da quell’inferno, ma voleva che il mondo intero potesse vedere la crudeltà di quel governo. Voleva onorare la memoria di coloro che erano morti senza una colpa, far vedere al mondo cosa era successo loro. E sarebbe morto nel tentativo. Era l’unica scelta che poteva fare.
Era così che era stato cresciuto, nell’onestà, con la verità come ideale, con la sete di giustizia e di democrazia. La sua famiglia non aveva chiesto l’impossibile, solo un governo equo e giusto ed erano morti per quello. Lo sapeva, era l’unico superstite. Dopo diversi mesi di prigionia aveva conosciuto un uomo che abitava nello stesso paesino dei suoi nonni. Questo, ignaro della sua identità, gli raccontò come quei solati raccolsero tutti nella piazza centrale e lì fucilarono i suoi nonni, i suoi zii, i suoi cugini. Dei suoi genitori e di sua sorella non sapeva nulla, ma ormai pregava per la loro anima perché era sicuro di essere l’unico ancora in vita.
Camminò ancora e ad un certo punto vide dei sottili raggi di sole davanti a lui. Il buio si stava schiarendo, le ombre diventavano sempre meno oscure e terrificanti, i suoni sembravano più dolci e armoniosi. Era arrivata l’alba.
Vide la strada diventare più nitida e larga, gli alberi attorno a lui erano di un verde splendente baciati dai raggi del sole mattutino. Sentiva gli uccellini cantare e pensò a quel canto come uno di vittoria per lui. Svoltò a sinistra ancora una volta e davanti a lui si aprì uno spettacolo che lo fece piangere per la gioia. Nella valle sottostante c’erano delle case, vedeva le persone muoversi sulle strade, lavorare sui campi, il tutto immerso nel caldo sole e nell’armonia. Aveva raggiunto il suo obiettivo: era in un altro paese, era riuscito nel suo intento.
Non doveva più guardare dietro, i soldati ormai non potevano più toccarlo. Era un intruso, lo sapeva, un clandestino ma allo stesso tempo era un ragazzo di soli diciassette anni che portava sulle spalle una borsa piena di prove di quel regime totalitario e distruttivo, sporco e affamato. Portava sul viso i segni del dolore e della sofferenza e sul corpo aveva le cicatrici della tortura e delle fruste ricevute. Era lui stesso una prova e avrebbe usato tutto per portare il mondo a ribellarsi contro le ingiustizie. Sarebbe morto se necessario ma avrebbe venduto la sua anima al diavolo per liberare il suo paese.
Guardò in alto il sole e chiuse gli occhi, si lasciò accarezzare dai suoi raggi caldi e dalla brezza leggera del mattino. Era arrivato alla fine di quel viaggio, era ancora vivo e non poteva fare altro che essere felice. Senza guardarsi dietro, iniziò a scendere piano verso la valle e sorrise.
Sulla storia
Non ho specificato il periodo storico e nemmeno il paese dal quale sta scappando, perché non è una testimonianza vera, ma un racconto di qualcosa di possibile quindi resta al lettore immaginarsi quale possano essere il paese d’origine e quello di arrivo così come il periodo.
Non mi sono soffermata a lungo sul periodo di prigionia perché il momento centrale era l’arrivo alla fine di quel viaggio, il fatto che fosse riuscito a scappare e quindi ad essere libero. Per questo, all’inizio del racconto l’ambiente viene rappresentato come buio e terrificante per arrivare alla fine all’alba e quindi a qualcosa di armonioso, un nuovo inizio.
Disclaimer & copyright
Il contenuto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
Ciao. Sono Silvia di Silvia tra le righe. Mamma mia. Quante emozioni mi donano i tuoi racconti ogni volta. Scrivi benissimo. Mi hai fatto pensare per tutto il tempo alle persone che cercano una speranza per il futuro nel nostro paese e che spesso muoiono in mare, dopo aver sopportato per anni l’inferno che hai descritto tu. Mi hai emozionato con questo meraviglioso racconto. Complimenti.
Ciao. Sono contenta di essere riuscita a farti pensare e provare qualcosa, è una soddisfazione sicuramente. Grazie.
L’uomo è e resta la peggiore delle bestie. Per questo trovo il tuo racconto tanto toccante.
Hai descritto bene le emozioni di questo ragazzo, prigioniero di guerra, che riesce infine a fuggire e ritrovare l’agognata libertà, ma soprattutto la dignità che gli era stata tolta.
Grazie per il commento.
A parte qualche errorino di distrazione -mannaggia a loro, devono sempre rompere i cabbasisi quando non dovrebbero T_T- e qualche leggera ripetizione di concetto, devo dire che sei riuscita a scrivere un bel racconto, forte e inquietante abbastanza da far riflettere, considerando che alcune realtà di oggigiorno non sono tanto lontane da quanto hai scritto con la tua smisurata fantasia.
Ho apprezzato moltissimo la dinamica con cui hai raccontato la storia, amalgamando passato e presente con assoluta perfezione: ti invidio perché, come sto ripetendo sotto ogni racconto delle altre questo mese -siete troppo brave e io sto risentendo di questo gap fra la mia tecnica e la vostra ahah-, io non ne sono in grado e forse non lo sarò mai -sbaglio sempre qualcosa e non so mai cosa XD È terribilmente frustrante ahahahah-. Insomma, #MomentoDepressioneON ahahahah
P.S.: Ma solo io mi sto chiedendo cosa succederà ora al ragazzo? Sì, ti sto invitando tacitamente a scrivere un seguito ahahahah <3 Pensaci 😉
Ciao. Grazie per il commento. Ahimè gli errori di distrazioni ci saranno anche dopo ventimila letture (almeno per me purtroppo) quindi leggerò ancora e cercherò di trovarli. (forse?)
Ti ringrazio per i complimenti e come ti ho sempre detto, devi avere un po’ di autostima perché sei brava. Io invidio il tuo vocabolario, alcune parole non mi vengono mai spontanee come vengono a te.
Cosa succede al ragazzo? Resta al lettore immaginare 🙂 Non so se mai avrà un seguito, certe volte le storie nascono per finire in poche righe.
A presto.
Ciao Liv!
Dopo la tua premessa sul non sapere cosa ne fosse del racconto alla fine l’ho iniziato con molta curiosità e devo dire che, secondo me, hai fatto centro. La storia è ben scritta, emotivamente intensa e anche se manca di riferimenti storici/di luogo, riesce lo stesso a trasmettere il percorso fisico ed emotivo che il suo protagonista senza nome compie in questa lunga camminata. Hai usato l’immagine del. mese come un punto di chiusura, che in verità è un nuovo inizio, e mi è piaciuta molto in quella posizione!
Complimenti, davvero!
Ciao Federica. Grazie mille per il tuo commento. Mi fa piacere che tu abbia apprezzato il modo in cui ho usato l’immagine. A presto.
Ciao Liv! Premetto che la tua prefazione mi ha incuriosita moltissimo prima di leggere il racconto, perciò l’ho fatto tutto d’un fiato e commento di getto buttando fuori le emozioni che mi hai suscitato. Ho avuto la sensazione di leggere un flusso di pensieri/diario, nonostante la terza persona non si presti facilmente a questo genere di scrittura, sei riuscita a toccare talmente in profondità da darmi lo stesso questa sensazione. Il non sapere luogo/periodo storico mi ha permesso di concentrarmi meglio sul messaggio: quando si racconta di orrori come questi l’importante è arrivare al lettore, scardinare le sue certezze, fargli capire come la normalità di una vita possa in ogni momento cadere nell’oblio. Così, è possibile apprezzare le piccole gioie di ogni giorno, i momenti di comunione con le persone care, una semplice torta di mele fatta da una nonna. È questo che ho “sentito”, un messaggio di speranza e sensibilità attraverso il racconto della crudeltà di cui l’uomo è capace. Hai usato un linguaggio comunque attuale, ben calibrato, per creare immagini forti ma senza strafare.
Davvero complimenti per questa idea molto originale!
Ciao Anne Louise. Grazie mille per le tue bellissime parole e i per i complimenti. Sono davvero contenta che tu abbia apprezzato il mio racconto.
Ciao Liv, finalmente riesco a leggere questo tuo racconto! Che dire, sei riuscita benissimo secondo me a inserire l’immagine all’interno della storia, a farmela visualizzare attraverso le parole: hai centrato a pieno il tema di aprile e per questo ti faccio i complimenti! Mi è piaciuto anche il racconto: essere catapultati nel mezzo di una storia in cui è il lettore a decidere parte dell’ambientazione a me piace, e lo spazio che hai lasciato alla nostra immaginazione si bilancia bene con quanto invece racconti tu! Ti segnalo solo una cosa che ho notato non filare del tutto liscio: i verbi. All’inizio parti al presente (“Il ragazzo fa un passo e poi si ferma”), poi passi al passato per raccontare il motivo che ha spinto il ragazzo a partire per il viaggio, ma quando torni al presente, continui usando il passato (“Camminò ancora e ad un certo punto vide”). A parte questo dettaglio, credo le emozioni arrivino senza fatica, e che sia un bel racconto, considerata la difficoltà di avere come punto di partenza un ambiente e non un tema 🙂 Brava brava!
Ciao. Grazie per aver letto e per il bellissimo commento. Darò un occhio ai verbi, ogni tanto non mi rendo conto che stonano, quindi grazie dell’appunto.
Sono contenta ti sia piaciuto il racconto.
Allora quello che sto per dirti è un mio parere puramente personale quindi prendilo come tale. Io non amo i libri/le storie che lasciano libero spazio all’interpretazione del lettore, non mi piacciono i finali aperti nè quelli dove forse o forse no succede qualcosa quindi leggere che di questo racconto non si conoscono informazioni non si sa nè periodo storico, nè indicazioni su chi e da cosa sta scappando il protagonista non mi è piaciuta molto. Ovviamente è un mio parere che mi ha sempre provocato problemi nel recensire libri o storie del genere, ma piace a tanti questo metodo quindi è giusta la libera scelta di fare ciò che si vuole. Dopo questa lunghissima premessa – che spero la prenderai con le pinze perché è un parere soggettivo – trovo che hai reso bellissima l’idea del fiinale usando in modo perfetto l’immagine. E’ forse un po’ lento, ma si abbina alla storia che hai voluto creare quindi brava per l’idea.
Ciao. Capisco che sia soggettivo e apprezzo il tuo commento. Spesso nelle storie che scrivo, che siano più o meno lunghe, non do indicazioni su un luogo. Descrivo tutto, ci sono le case, ambiente, strade, ma non dico mai: è la città X. È una scelta che faccio spesso, soprattutto se il tema è qualcosa di delicato come questo. Se non specifico luogo o tempo, non sono vincolata da un fatto vero o storico cosa che mi rende più facile parlare. Forse la paura di dire cose fuori luogo su un fatto storico mi porta a fare questa scelta.
Ti ringrazio per la sincerità, apprezzo le tue parole.
A presto.
Il tuo racconto mi ha lasciato davvero di stucco per quanto potente nel fattore emotivo. Non sono esperta di grammatica quindi non posso, neanche volendo, dirti se ci sono errori rilevanti, ma trovo la tua scrittura molto buona e semplice. Sei riuscita a descrivere uno scenario molto doloroso senza risultare fuori luogo o pesante, e questo non è da tutti. Hai creato un inno alla libertà, un arcobaleno dopo la tempesta. Davvero complimenti.
Ciao. Grazie per le belle parole che hai scritto. Sono contenta ti sia piaciuto il racconto.
Ciao!
Ho letto con attenzione il tuo racconto e devo ammettere che, leggendolo, mi sono chiesta più volte a quale Stato o periodo storico si stesse facendo riferimento. Leggendo l’informativa finale, però, mi sono resa conto che la tua scelta di lasciare il contesto volutamente indefinito mi ha permesso molto di più di concentrarmi sui dettagli narrativi e descrittivi. Trovo che tu abbia raccontato molto bene i ricordi legati alla nonna, la disperazione del luogo dove è finito il protagonista, le emozioni della corsa verso la libertà.
La forma è scorrevole e corretta; segnalo solo che ad un certo punto, riferendosi al campo di prigionia, c’è scritto “quel inferno” invece di “quell’inferno”.
Il racconto mi è davvero piaciuto, quindi complimenti!
Ciao. Grazie per le correzioni, ho preso nota.
Mi fa piacere che alla fine la mia scelta sia stata apprezzata.
A presto.
Un racconto piuttosto forte, di fantasia, ma dolorosamente verosimile. Una storia dove luce e buio giocano un ruolo fondamentale, sia come elementi ambientali, sia come componenti dell’animo: penso tu abbia interpretato l’immagine del tema in maniera profonda, proiettando l’alternarsi di luci e ombre della foto all’interno del microcosmo del protagonista, ma anche a livello macrocosmico, contrapponendo la ferocia umana alla sete di vita di coloro che hanno scelto di non piegarsi a un regime. Hai saputo tratteggiare la sofferenza con pennellate tanto rapide, quanto efficaci. Non sei stata morbosa, hai detto l’essenziale senza scadere nel sensazionalismo. Ho apprezzato molto la nostalgia delle piccole cose, quelle della cui importanza ci rendiamo conto solo quando non le abbiamo più. Il ritmo è lento e “strano”, caratterizzato da una sorta di non tempo che rende la storia collocabile in qualsiasi epoca, e ciò contribuisce a trasformare l’esperienza propria del protagonista in una più universale. Davvero un buon lavoro.
Per quanto riguarda la scrittura, ho trovato alcune di cose da rivedere:
Quel amore –> quell’amore
Girarsi dietro –> indietro
Lavoro sui campi –> credo sia più corretto nei
In generale, ti consiglio, se posso, di tenere d’occhio ripetizioni di parole e espressioni, di cercare di ridurre i che, soprattutto in casi come: “Qualcuno preferiva quella che la misera esistenza che conduceva”, di provare ad adoperare meno aggettivi dimostrativi. Occhio all’infodump.
Mi permetto di aggiungere un parere personale che non riguarda il racconto in sé: penso non ci sia bisogno di aggiungere spiegazioni alla fine del racconto, specialmente quando ha un senso del tutto chiaro e compiuto come in questo caso. Non credo che tu o altri autori dobbiate spiegare, o giustificare, certe scelte narrative. Da una parte, sta alla sensibilità del lettore porsi certe domande e provare a darsi delle risposte, oltretutto in un’ottica di fiducia; dall’altra, dev’essere il testo stesso a parlare. E credo in questo caso l’abbia fatto più che bene. Complimenti!
Ciao. Grazie per il commento davvero bello e per tutto ciò che hai scritto, mi sono emozionata.
Sono contenta che il mio messaggio, il gioco tra ombre e luci, buio e oscurità sia arrivato a destinazione. Quando tratto temi impegnativi come può essere appunto la guerra, una dittatura, ho sempre paura di andare agli estremi: essere superficiale o banale oppure troppo tragica e morbosa. Il fatto che la mia via di mezzo sia stata apprezzata, mi rende davvero felice. Ho raggiunto il mio obiettivo.
Grazie per le correzioni e per i consigli.
La spiegazione finale la metto spesso, per dire come sia nato un racconto o perché è nato così. Sono d’accordo con te che non bisogna giustificarsi, tuttavia so che a volte ciò che ho io nella mente mentre scrivo non per forza corrisponde a ciò che il lettore ha nella mente mentre legge. Sono contenta però di essere stata chiara. Grazie ancora.
Bellissimo, sei stata brava!! Mi ha davvero colpito:)
Grazie mille per aver letto come sempre 🙂