Nota
Buongiorno lettori. Eccoci qui anche con il racconto di agosto, “Negli abissi dell’amore” per la rubrica StorytellingChronicles organizzata da Lady C di La Nicchia Letteraria. La ingrazio per avermi permesso di partecipare e soprattutto per aver preso in considerazione le mie idee assurde per il tema di agosto. Visto che c’era l’indecisione sul tema, ho proposto tre cose a caso senza pensare che ovviamente avrei dovuto scrivere qualcosa usando quei temi. Furba eh?
Il tema che ho scelto alla fine è stato: “una tempesta che cambia qualcosa”. Detta così è poco comprensibile, mi rendo conto. Il succo del discorso era che una tempesta (come ambientazione o in senso figurato) cambiasse la vita o semplicemente i piani di qualcuno. E così è nato il racconto “Negli abissi dell’amore” per questo mese di StorytellingChronicles.
Trama
Il protagonista vive tra una tempesta del passato e una del presente ricordando ciò che è successo e come la sua vita sia cambiata.
Negli abissi dell’amore
Un rumore di vetri rotti mi sveglia. Stavo forse sognando? Molto probabile anche se non ricordo nulla. Non so nemmeno che genere di sogno fosse. Devo alzarmi per bere dell’acqua, ho la bocca che sembra il deserto del Sahara. La lingua e la gola sono proprio asciutte, darei qualsiasi cosa per un bicchiere di acqua fresca.
Mi alzo piano e sento la testa che protesta. Una fitta lancinante mi colpisce e mi forza a stare immobile per alcuni secondi. Sento la pioggia che colpisce i vetri con una forza non indifferente. Se non fosse per la bocca secca, mi rimetterei a dormire. Con questo tempo credo sia la cosa migliore da fare.
Riprovo e apro gli occhi perché devo assolutamente bere. Dove diavolo sono? Non sono le mie lenzuola blu e neanche il mio letto enorme, ho praticamente i piedi a penzoloni fuori dal letto. Ho fatto serata da qualche parte? Mi fermo seduto e mi giro piano per capire dove sono finito. Il comodino si muove prima verso sinistra e poi verso destra, in realtà anche io mi sento un po’ sballottolato. Vedo per terra i resti di quella che era una bottiglia di whisky e in questo momento i ricordi mi colpiscono come un treno in corsa. Sono sulla barca con Marine e abbiamo litigato. La bottiglia di whisky caduta per terra è quella che ho praticamente svuotato io prima di addormentarmi.
Diciamo la verità, più che addormentato credo di essere proprio svenuto. Da quanti anni non mi prendo una sbronza di queste dimensioni? Il letto balla di nuovo e sento la pioggia. Probabilmente il tempo è peggiorato, Marine aveva ragione, dannazione. Dovrò chiederle scusa per essere stato arrogante e non averla ascoltata e anche per le parole che le ho detto prima. Doveva essere un weekend romantico sulla barca, in mezzo all’oceano limpido, di fronte a un tramonto mozzafiato. E invece abbiamo litigato perché io sono un idiota arrogante, orgoglioso e soprattutto geloso. E invece di riconoscere i miei difetti cosa ho fatto? Mi sono ubriacato. Bravo idiota, così la conquisterai sicuramente.
Mi alzo e non so se sia l’effetto dell’alcol o altro, ma vengo praticamente scaraventato a terra. Mi cade qualcosa addosso dagli scaffali in alto. Il mare sta facendo ballare la barca più di quello che immaginavo io.
Un lampo illumina a giorno la baia e il cielo. Un istante e si sente il tuono che fa tremare le finestre. Il cielo a volte si prende questi momenti e urla, chissà per quale ragione. Vorrei essere così libero e gridare anche io, liberare tutto ciò che ho dentro da cinque anni ma temo che la gente mi prenderebbe per pazzo. Non che in condizioni normali mi considerino una persona proprio sana di mente.
Mi alzò dalla poltrona e vado lentamente fino alla porta finestra. Intravedo la luce intermittente del faro nonostante l’oscurità e la pioggia fitta. Anche oggi come allora le onde sono alte, il mare sprigiona la sua forza incurante della spiaggia, degli scogli che si stanno sgretolando, delle barche che si spezzano e affondano. Il mare è come un’amante capricciosa: ti culla e ti fa vedere la sua bellezza, i suoi misteri e ti fa sentire padrone della situazione e poi quando si arrabbia spazza via chiunque abbia provato a domarla.
Stanotte non dormirò, lo so già. Non dormo quasi mai durante le tempeste a meno di non svenire per la stanchezza o di annebbiarmi la mente con qualche medicina, tuttavia stanotte ho una ragione in più per non farlo. Oggi sono esattamente cinque anni da quella notte e lo scenario è molto simile perché io possa stare tranquillo nel letto. Le cicatrici fanno male, non so se sia un vero dolore fisico o se sia solo la mia mente che mi gioca brutti scherzi. Chiudo le dita e stringo il pugno, per quello che riesco. Un movimento così semplice che mi costa non poca concentrazione.
Mi rimetto sulla poltrona e alzò la gamba sinistra poggiandola sulla piccola sedia imbottita che è sempre qua. Ormai la sera non riesco a stare più seduto senza quel appoggio. Chiudo gli occhi poco dopo che un altro lampo squarcia il cielo e illumina tutto creando ombre inquietanti sul muro di fronte a me.
Il comodino mi colpisce sul polpaccio mentre mi rialzo aggrappandomi al muro. Sento un rumore di qualcosa che cade e un urlo. In una frazione di secondo la sbronza mi passa e l’adrenalina mi sveglia. Sono lucidissimo e sobrio come non lo sono mai stato. Senza nemmeno rendermi conto sto già salendo le scale per andare sopra sul ponte. Appena apro la porta vengo investito da un vento forte e da schizzi di acqua gelidi. Chiudo la porta nella speranza che la stanza sotto rimanga asciutta il più possibile perché sarà il nostro rifugio fino a quando la tempesta non passerà.
Provo ad abituarmi al buio per cercare di capire la situazione. La sdraio dove nel pomeriggio Marine aveva preso il sole non c’è più. Non ci sono nemmeno il cuscino e l’asciugamano e neanche la cassa che avevamo usato per ascoltare musica. Un’onda forte colpisce la battagliola lateralmente e si porta via un pezzo come se fosse stata fatta di leggera paglia. Mi aggrappo a una corda e cerco di stringerla per avere un’ancora di sostegno mentre il vento e le onde mi colpiscono senza pietà. Provo a gridare e chiamare Marine, ma non sento nemmeno la mia stessa voce. Vado a prua e la vedo, rannicchiata a terra che stringe con entrambe le braccia un pezzo di ringhiera. Spero sia più forte di quella che il mare si è appena portato via. Vado avanti piano e quando sono vicino a lei mi vede.
Alza la testa con i capelli bagnati attaccati alla fronte e alla schiena, il vestito incollato addosso, la vedo tremare. Non so se sia per il freddo o per la paura, ma poco importa. Mollo la corda e vado dritto da lei. La abbraccio e la sento piangere. I suoi occhi sono terrorizzati ma allo stesso tempo vedo un lampo di speranza. Probabilmente pensava che non sarei mai arrivato, chissà da quanto tempo è qui che lotta per non farsi portare via dal mare mentre io dormivo ubriaco. Un’altra onda ci colpisce e sento come mi stringe la camicia e si aggrappa a me.
Se la situazione fosse diversa sorriderei per questo gesto. Amerei il fatto che si rannicchi così contro il mio petto, che mi tenga stretto vicino a lei. Le bacerei la testa, le accarezzerei la schiena piano e poi la bacerei fino a toglierle in fiato. La tempesta però non offre momenti di romanticismo quindi devo pensare a come agire.
Devo portare Marine sottocoperta, coprirla e asciugarla e chiamare i soccorsi. Chissà dove ci hanno portato le onde, siamo ormai alla deriva e senza aiuto non possiamo tornare alla terra ferma. Vorrei dirle che mi dispiace per la litigata di prima, ma non è questo il momento. Con un braccio la tengo stretta contro di me e con l’altro mi aggrappo alla ringhiera cercando di avvicinarmi alle scale. Faccio un passo e poi un altro e piano piano sono lì. Devo solo allungarmi e aprire la porta e siamo salvi.
Non faccio in tempo a mettere la mano sulla maniglia che qualcosa mi colpisce alla schiena e vado a sbattere la testa contro il finestrino accanto alla porta. Sento qualcosa di caldo sul viso e mi rendo conto che sto sanguinando. La spalla mi fa malissimo e non riesco a muovere molto il braccio. E proprio in questo momento mi rendo conto di non tenere più stretta Marine. Non la vedo più vicino a me.
Apro gli occhi e mi rendo conto che la tempesta non cesserà a breve. Andrà avanti per ore come aveva fatto quella notte. Guardo l’orologio e vedo che sono le due. Dovrei essere nel letto eppure non ho il coraggio di andare in camera. Non è la gamba che fa male, non è la spalla che è più indolenzita del solito, è la mente che mi impedisce di stare calmo. Mi riporta a galla tutte le emozioni di quella notte e non posso fare nulla per scacciarle via.
Mi sforzo, faccio i respiri profondi, immagino scenari tranquilli e familiari proprio come mi ha insegnato il medico che mi segue da qualche anno, tuttavia non funziona nulla. Avrei due alternative: le gocce per dormire o l’alcol. Per il momento sono entrambe fuori discussione perché mi annebbiano la mente e passare una notte come questa senza essere lucido è come un suicidio per la mia salute mentale.
Per un po’ l’alcol è stato la porta verso l’oblio. La bottiglia di gin o vodka erano le mie amiche e le mie compagne durante il giorno e la notte. La birra o il vino erano troppo leggeri e non facevano effetto. Il gin o la vodka bruciavano la gola e mi riscaldavano fino a quando il cervello si spegneva. Non mi interessava più il sapore o la qualità, doveva essere forte e basta. L’unica cosa che non riuscivo a toccare era l’whisky. Il suo odore, la sua fragranza mi portavano indietro nel tempo a quella notte e io cercavo di scappare il più lontano possibile.
Anni fa l’alcol era un divertimento, facevo a gara con gli altri a chi resisteva più, come degli adolescenti stupidi. Poi ho iniziato ad apprezzare il suo profumo, il sapore e l’invecchiamento. Dopo quella notte tuttavia l’alcol è diventato il mio rifugio mentre oggi è un promemoria. Mi ricorda che bisogna avere la mente lucida perché non si sa mai come vanno le cose, che puoi fuggire dal passato ma non da te stesso e mi ricorda che è una debolezza, una tentazione alla quale è facile cedere.
Sento una fitta alla spalla, succede a volte. Con il tempo ho ripreso a usare il braccio normalmente, anche se ha i suoi limiti. Non potrò più fare tutte le vasche a nuoto che facevo prima o le flessioni per mettermi in mostra. Adesso ho un obiettivo diverso: vivere una vita normale. Non è facile perché da quella notte niente è stato più normale.
Sono stordito per il colpo appena preso ma devo trovare Marine e metterla in salvo. Dannazione, doveva essere un fine settimana romantico, dovevamo parlare del nostro futuro, fare l’amore fino allo sfinimento, vivere un sogno per qualche ora. Adesso invece è tutto un incubo. Mi giro e urlo con tutta la forza che ho per sovrastare la tempesta. Devo trovarla.
Mi giro e mi pulisco con una mano il viso dal sangue. La vedo per terra, aggrappata a una corda che combatte per non farsi portare via dalle onde. Faccio un respiro e organizzo le idee in un piano che deve funzionare. Non ci saranno seconde possibilità. Apro la porta, suono l’allarme sperando che funzioni. Prendo il salvagente e mi butto verso di lei. Devo metterla in salvo. Riesco a infilarle il giubbotto non so con quale forza e lego la corda del salvagente attorno alla sua vita sottile. Ha una ferita sul fianco, non so quanto sia grave ma non credo si sia nemmeno resa conto. Non sta più piangendo o forse l’acqua si è mescolata alle sue lacrime. Forse si è rassegnata, sta cedendo e io sono la sua ancora.
Sento un rumore assordante e la barca si inclina pericolosamente. Dobbiamo buttarci in mare, non ci sono altre alternative. L’albero si è appena spezzato, è questione di minuti e la barca andrà sul fondo cullata dall’ocurità del mare. Se non ci allontaniamo verremmo portati giù con lei. Io devo salvarla, devo farmi perdonare e chiederle la mano come si deve.
Come sono stato arrogante a pensare che sarei riuscito a conquistarla con così poco. Ero geloso e stupido, pensavo a pavoneggiarmi invece di dimostrare davvero quanto lei fosse preziosa per me. Avrei dovuto dichiararle i miei sentimenti ogni giorno, mostrarle ciò che provavo con piccoli gesti. Invece, come mio solito, ho voluto strafare e il risultato è stato una tragedia. Avrò mai la forza per perdonarmi?
Mi assicuro che il salvagente sia legato bene e le spiego il piano. Annuisce e basta. O si fida di me in tutto e per tutto oppure ormai non ha più la forza per controbattere. Spero sia la prima e la prendo come unica risposta perché mi dà la forza per resistere. Non c’è tempo e spazio per i dubbi e per i ripensamenti. Le tengo la mano e assieme scendiamo dalla scaletta ormai traballante. Questa si spezza e io rimango incastrato con una gamba. Urlo a Marine di andare via, di allontanarsi ma non riesce a fare altro che guardarmi negli occhi senza muoversi.
Leggo una richiesta silenziosa, non ce la fa o non vuole andare via senza di me. Mi faccio forza e strattono più che posso, mi libero la gamba e cado in acqua. Non guardo il risultato, non voglio sapere se la gamba sia ancora intera, non conta adesso. Sento dolore alla mano anche, ma l’acqua fredda intorpidisce tutto in poco tempo.
Siamo in mare aperto, nuotare è inutile, bisogna solo cercare di stare a galla. Prima di scender ho fatto partire l’allarme per inviare un messaggio di soccorso. Non so se funzioni ancora il sistema ma non posso pensare diversamente.
Non sento più il dolore della spalla, l’acqua mi ha lavato via il sangue dal viso e la gamba non ho coraggio di tastarla con la mano. In realtà non sento più nulla se non il freddo e l’impotenza davanti alla forza della natura. Sono stremato, la paura ormai diventa rassegnazione. La barca si inclina sotto la forza delle onde e la vedo affondare lentamente. Qua e là il mare si porta via pezzi di quello che doveva essere il nostro rifugio per il fine settimana.
Mi aggrappo a un altro salvagente e cerco di stare vicino a Marine. La guardo e ho paura di perderla di vista. Ho paura di ciò che potrebbe accadere e con quel terrore dentro di me e con il suo visto davanti, il mondo diventa silenzioso e l’oscurità mi trascina nella sua profondità.
Prendo un respiro profondo. Non tuona più da un po’ e sento il vento meno forte. La tempesta sta esaurendo la sua forza. Mi alzo e vado verso la portafinestra. Vedo il mio riflesso debole sul vetro: i pantaloni larghi, i piedi scalzi, la camicia di lino leggera, i capelli più lunghi dal solito e spettinati che nascondono la cicatrice che ho sopra l’occhio destro. Stringo il pugno e faccio una smorfia. La spalla fa male, la cicatrice nel palmo anche e il polpaccio pulsa come se mi fossi appena ferito. Da quella notte sono uscito con parecchi segni sul corpo e nel cuore. Tiro fuori la collana che ho appesa al collo da quando mi sono svegliato in ospedale.
È strano per un uomo tenere come ciondolo un anello con uno zaffiro, ma è il segno del mio impegno a vita. Cinque anni fa ero pronto a sposarmi, fare una festa in grande stile, prendere un cane e avere un paio di figli; passare le domeniche in giardino con una grigliata tranquilla o andare alle partite di baseball. Ero pronto a crescere ma la vita ha avuto altri piani per me. Ho una casa vicino al mare perché per quanto si sia accanita contro di me, io e quella pozza oscura e terribile abbiamo un legame che va al di là della comprensione umana. Lei mi ha portato via il mio piano A, la mia felicità e io la voglio vicina per dimostrarle che non è riuscita ancora a piegarmi. Sono ancora vivo e nonostante la perdita, sono ancora in piedi che cerco di vivere.
Sento dei passi e mi giro. Avanza piano verso di me, i capelli neri sciolti, la camicia da notte bianca che fluttua a ogni movimento e il suo sorriso la fanno sembrare un angelo. Lo è, è il mio angelo custode. Guardo nuovamente l’anello che porto al collo, quello che dovevo mettere a Marine sull’anulare come simbolo del mio amore davanti al mondo intero, quello che per chissà quale legge fisica è rimasto impigliato nella tasca dei miei pantaloni nonostante la tempesta. Lascio cadere la collana e l’anello dentro la camicia, vicino al cuore dove è stato negli ultimi cinque anni. È sempre un simbolo di amore, indipendentemente di dove stia.
Alzo la testa e la guardo, sorrido a mia volta. Non mi ha mai lasciato oppure sono io che non l’ho mai lasciata. È lì eppure non è più lei.
«Amore, vieni al letto? Sono qui e non andrò via, lo sai vero?»
«Sei il mio angelo, lo so. Il mare ha cambiato il corso della mia vita ma posso ancora decidere dove stare e con chi. Tu rimarrai qui per sempre.» Alzo la mano destra e la poggio sul cuore e allo stesso tempo stringo l’anello. Sarebbe stato perfetto sul suo anulare, uno zaffiro come i suoi occhi, color marino come il suo nome e come quel mare che ci ha distrutti senza pietà.
Vado con lei, devo approfittare dei pochi momenti che siamo fortunati a condividere ancora.
La tempesta si è fermata, si sente solo una pioggia leggera adesso, l’oscurità fa meno paura. Non sono più solo.
Liv
Informazioni sul racconto
Il racconto “Negli abissi dell’amore” è un po’ particolare ed è nato per caso. Volevo una tempesta in mare e ho iniziato scrivendo in prima persona dal punto di vista del protagonista. Ho proseguito senza sapere dove mi avrebbe portato il tutto e direi che i due personaggi hanno scelto da soli cosa fare in un certo senso.
Il nome di lei è Marine, scelto perché rimanda al mare e al colore bleu marine, così come la pietra dell’anello che è uno zaffiro per la stessa ragione. La protagonista in qualche modo ricorda il mare e in un certo senso ha un legame con esso.
Il testo è tutto al presente anche se in realtà accade in due momenti diversi: la parte in corsivo accade durante la tempesta cinque anni prima mentre il testo normale è il presente del protagonista in questo momento. Non si sa come si salva e cosa accade perché la cosa importante del racconto era la tempesta in sé e quindi non ho voluto dire nulla sul salvataggio. Il protagonista nel presente lamenta diversi dolori e cicatrici, acquisite tutte durante la tempesta: un taglio sopra l’occhio destro, uno al palmo, uno alla spalla e uno al polpaccio.
Il finale è pieno di nebbia diciamo e so che mi odierete per questo, ma è voluto. Non ho specificato se la ragazza che vede è davvero Marine, se è viva o se è un sogno/allucinazione del protagonista. Lascio a voi lettori immaginare questi dettagli e sarei curiosa di sapere cosa avete immaginato.
A presto.
Disclaimer & copyright
Il contenuto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
Ma che meraviglia. Mi sono emozionata. Io ho pensato che fosse il fantasma di Marine. Temo purtroppo che lei sia morta. Il racconto è emozionante, malinconico e mi ha tenuta incollata al pc per tutta la durata della lettura. Scrivi benissimo. Complimenti. Silvia di Silvia tra le righe
Ciao. Grazie mille per il tuo commento.
Molto bello e spiazzante. Lasci in sospeso fino all’ultimo e spero davvero di leggere un altro finale poi.
Il tuo commento mi fa ben sperare.
Ho apprezzato l’alternanza temporale, l’hai gestita bene, con il giusto ritmo.
Complimenti. 🙂
Ciao. Non so se arriverà un finale o altro, tranne il momento che ho scritto per la storia di settembre.
A presto.
Ciao Liv!
Be’ che dire, il tema è super ben utilizzato e lo trasformi in una duplice narrazione che, personalmente, mi ha spezzata con la sua intensità. I sentimenti arrivano e ti colpiscono, forte, tanto, specie nel presente e con l’apparizione finale che rende il tutto nostalgico, dolce e amaro, capace di conquistarti e lasciarti comunque un grande senso di sconforto. Si capisce che mi è piaciuto!? Eh eh bravissima.
Il tuo stile è pulito e diretto, incisivo nel raccontare la tragedia vissuta del protagonista. Brava
Grazie mille per i complimenti. Sono contenta ti sia piaciuto come racconto.
A presto
Ciao Liv! Devo ammettere che il tuo racconto mi ha lasciata senza parole e senza fiato. Ho letto divorando ogni parola, curiosa, smaniosa, sconvolta con l’unico scopo di arrivare fino alla fine. La tua scrittura è stata così coinvolgente da farmi dimenticare ogni cosa e i due livelli narrativi una scelta sapiente che crea ancora più suspense. La tempesta che il protagonista vive è duplice – sia fisica che mentale – e ben evidente, uno squarcio ancora aperto e sanguinante… per questo anche io ho pensato che alla fine lui veda Marine ma che sia appunto un angelo/fantasma, altrimenti l’anello sarebbe al dito e non al collo del protagonista, no? E poi lui alla fine dice chiaramente che è lei ma non più lei… molto emblematica come frase! In ogni caso, sono proprio curiosa di saperne qualcosina in più su questo personaggio così ferito dalla vita… non vedo l’ora di leggerti ancora, adoro il tuo stile! Alla prossima!
Ciao. Grazie per il racconto. Devo dire che nella mia mente si alternano un paio di finali leggermente diversi, motivo per il quale ho posto a voi lettori la domanda. È interessante vedere cosa pensa chi legge e ovviamente non ha tutti i dettagli che ho io in mente.
Grazie mille, alla prossima.
In primis, c’è da ringraziarti, cara Liv: senza di te, staremmo aspettando ancora adesso una tematica per il mese di agosto, grazie alla qui presente scansafatiche che non si decideva a uscire dalla sua fase depression andante XD ahahahah Ergo, mi inchino e mi prostro :3 Thanks a lot <3
Per il resto, beh, il tuo racconto parla da solo. Non mi ha tolto solo le parole di bocca, donna, ma anche il respiro. Sto qui, in apnea, e non so a cosa pensare e come pensarlo XD Ci ho riflettuto bene, però. Secondo me, la Marine del finale è un fantasma 🙁 Mi spiace dirlo, non lo faccio perché sono una pessimista cronica senza possibilità di redimersi -ops ahahah-, ma è l'unica idea che mi è arrivata alla testa leggendo quelle tue righe da cui traspare solo moltissimo dolore, una ferita ancora aperta -dopotutto, se lui continua a vederla nonostante il tempo trascorso dall'incidente, qualcosa vorrà pur dire, no?- che ha fatto sanguinare pure il mio cuore. Sei stata bravissima, complimenti davvero <3
Sono contenta di aver proposto qualcosa e anche scritto qualcosa xD
Non sei pessimista, basta vedere le mie storie quanto sono allegre ultimamente, ti faccio compagnia sorella xD
Comunque li rivedremo questi personaggi forse, ho già in mente qualcosina.
A presto
Ciao Liv! Ho letto questo tuo racconto lasciandomi trasportare dalle tante emozioni che mi ha suscitato e credo proprio che il tema della tempesta sia stato ben interpretato. A me l’apparizione finale sembra una specie di angelo, di fantasma… ma l’interpretazione è libera, come hai giustamente detto tu. Credo che la narrazione alternata tra i vari piani temporali accresca la tensione nel lettore e sia una scelta azzeccata. Come non dare ragione al protagonista quando scrive del mare? Come diceva Baudelaire, la distesa marina è un abisso amaro, come il cuore degli uomini liberi. Ti faccio presente solo che quando il protagonista sviene prima di essere salvato c’è scritto “Il suo visto”….potrebbe essere “il suo viso” scritto sbagliato?
Per il resto, complimenti per questa emozionante storia!
Ciao. Grazie per la segnalazione della svista 🙂
Sono contenta ti sia piaciuta e vedo che anche tu hai immaginato un fantasma, magari un giorno scriverò altro su questi personaggi.
a presto
Liv
Ciao Liv! Intanto, ti ringrazio per i tre temi che hai proposto per questo mese! Tutti e tre davvero interessanti e sfidanti, è stato un piacere scrivere! 🙂 Tornando a noi, il tema della tempesta che cambia in questo racconto è veramente ben sviluppato. Dall’inizio alla fine, sia la tempesta reale che quella emotiva che attraversa il protagonista si fanno sentire e sono il filo portante di tutto il racconto, e generano in lui un cambiamento sia fisico che caratteriale notevole. Ho veramente apprezzato il modo in cui sei riuscita a intrecciare passato e presente, creando una suspence incredibile alla fine dello scritto, che poi si spiega nelle informazioni finali. Cosa ho immaginato io? Che la ragazza con cui parla sia il fantasma di Marine, che lo accompagnerà per tutta la vita ricordandogli quanto accaduto. Sarei curiosa però di leggerne di più, di quest’uomo tanto tormentato, di sapere se in un futuro lontano troverà finalmente pace o continuerà a vivere ogni giorno della sua vita con il rimorso di non essere riuscita a salvarla. Grazie mille per le bellissime emozioni che mi hai regalato con questo tuo racconto 🙂 A presto.
Ciao. È bello vedere che tutti alla fine avete immaginato che lei fosse un fantasma. Non dico sia la versione giusta, ma nella mia mente è sempre stato così. Probabilmente rivedremo lui (e scopriremo come si chiama xD) a breve.
Grazie per il commento
Liv