Il racconto “Di mostri e fantasmi” scritto da Stephanie partecipa all’evento Storytelling Chronicles organizzato da Lady C di La nicchia letteraria. Per maggio il tema era: racconto in prima persona.
Come per ogni mese, il blog ospiterà il racconto di Stephanie per Storytelling Chronicles, lascio a voi i commenti.
Di mostri e fantasmi
Ho lo sguardo posato su questo bicchiere di whisky ormai vuoto da quasi due ore. Continuo a rigirarmelo tra le mani, prima da un lato, poi dall’altro, come se cambiarne la prospettiva servisse a qualcosa.
Cravatta allentata, maniche della camicia arrotolate fino al gomito, chiedo, distrattamente ma con decisione, un altro bicchiere al barista che, seduto in fondo al bancone, seppur intendo a sistemare i calici di vino e le tazzine da caffè in file ordinate sulle mensole alle sue spalle, mi osserva incuriosito da quando sono entrato, pensando che non me ne sia accorto.
« Sei già al quinto, non è forse ora di smettere? » mi dice, avvicinando cautamente la mano alla bottiglia di Jack Daniel’s alla sua destra. Da quando sono qui non se n’è mai allontanato, forse pensando potessi prendergliela e servirmi da solo. Che fervida immaginazione.
« Se permetti, lo decido io, quando smettere. Un altro. » ribatto, seccato.
« Giornata dura, eh? »
« Se non mi riempi questo maledettissimo bicchiere, lo diventerà anche la tua. »
« Okay, okay, stai calmo. Ecco qui, tieni! » Noto che gli trema un po’ la mano, a versare il whisky.
« Finalmente! Grazie. » Me lo scolo d’un fiato, riprendendo subito dopo a girarmi il bicchiere vuoto tra le mani.
Alzo lo sguardo verso l’orologio, posto al centro della parete di fronte a me, sopra una serie di mensole ricoperte di bottiglie di alcol di ogni genere. Allento ancora un po’ il nodo alla cravatta, slaccio i primi due bottoni della camicia. Sono le due del mattino. Sono qui dentro da troppo tempo ormai. Solo che non ho intenzione di uscire.
Questo bar è per me sempre stato al tempo stesso un rifugio e una prigione. Piccolo e pressoché invisibile a chi non lo conosce, ma comunque a modo suo accogliente, finisco sempre qui quando nella mia vita succede qualcosa, bella o brutta che sia. È qui che ho festeggiato il mio primo lavoro, qui che ho celebrato la mia prima laurea, qui che ho portato Serena al primo appuntamento. Eppure, nessuno si ricorda di me: d’altronde, se fai degli altri il contorno, nella tua vita, non puoi aspettarti che loro facciano di te il protagonista nella loro.
Per essere tardi, il locale è comunque abbastanza affollato. Intorno a me, un gruppo di amici ride e scherza raccontandosi storie palesemente inventate sull’ultima festa studentesca a cui ha preso parte, una coppia di amanti amoreggia guardandosi le spalle per il timore di essere scoperta, un paio di uomini trascorrono la serata accompagnati a loro volta da bicchieri sempre troppo vuoti.
E poi ci sono io, Alessandro Ferrari, trentaseienne, ex quasi-marito, ex agente di commercio, ex essere umano. Da oggi, infatti, sono solo un mostro. Un mostro che distrugge ogni cosa che sfiora. Ogni cosa che incontra. Ogni cosa che lo ama.
“Un mostro, un mostro, sono solo un mostro.” È a questo che penso quando la porta del piccolo locale si apre, poco dopo il quarto rintocco delle campane della chiesetta di quartiere, locata a pochi metri dall’ingresso del bar.
« Signorina, staremmo per chiudere… » inizia da dietro al bancone il barista, ormai esasperato da noi che, da queste sedie, non abbiamo proprio la voglia – e nemmeno la forza – di alzarci.
« Shhh… » sussurra una voce.
Sposto gli occhi sull’ingresso più per abitudine che per curiosità. In piedi sulla soglia, aggrappato alla ringhiera che delimita i tre gradini attraverso i quali si scende verso il bancone, un fantasma con gli occhi da bambina e le fattezze di ragazza. Barcollando, con una mano ben stretta a quel sostegno di fortuna, la giovane avanza nel silenzio, catturando l’attenzione di tutti.
Anche se è primavera, anche se indossa un vestito, nero con piccoli fiori bianchi, non porta le calze. Dr Martens ai piedi, un cardigan dello stesso colore dell’abito le pende dalle braccia, aggrovigliato alla borsetta, nera anche questa, che ciondola lenta, seguendo i suoi passi.
Non serve una seconda occhiata per capire che è completamente ubriaca. Facendosi strada verso l’interno del locale, sono più i tentativi che fa per rimanere in piedi dei passi che riesce a completare. Ondeggia in balia dell’alcol come lo stelo di un papavero si inclina alla forza del vento. Tutto, di lei, è un grido d’aiuto.
Mentre sto per alzarmi e correre a sorreggerla, dopo l’ennesimo passo avanti finito in una quasi capovolta, uno dei ragazzi seduto al tavolo alle mie spalle mi anticipa e, con fare ammiccante, le si avvicina e l’accompagna a sedere al suo fianco. Trattengo l’istinto di correre a salvarla. “Non è un tuo problema“, mi ripete il tarlo che da stamattina continua a sbattere a destra e a manca tra i miei pensieri, “e poi tu sei solo un mostro. Come potresti mai salvare qualcun altro, se non sei neanche capace di salvare te stesso?“ Ha ragione. Sono solo un mostro. Perché è così che si deve sentire un uomo quando distrugge il cuore dell’unica donna che l’abbia mai amato. Senza nemmeno provare troppo risentimento per la crudeltà con cui ha portato a termine tale devastazione.
« Un altro! » grido, trascinandomi fuori dai giochi contorti della mia mente.
« Ho chiuso cassa! » sbotta il barista.
« Ho detto… Un! Altro! » ripeto, tradendo nella voce una nota di tensione.
« Un altro, un altro. Un altro ancora, e qualcuno di voi? Anche voi ne volete un altro? Sono le quattro del mattino, il bar dovrebbe aver chiuso tre ore fa. Dovreste solo ringraziarmi, tutti quanti, per non avervi cacciato a calci in culo allo scoccare dell’ora. Se lo vuoi davvero, un altro, vattelo a cercare fuori da qui! Anzi, andatevene tutti! Andatevene ad espiare i vostri peccati da qualche altra parte! ORA! » grida lui di rimando, sbattendo tra una frase e l’altra ogni bottiglia ancora riposta sul bancone e guardando ognuno di noi avventori ancora seduti sulle nostre scomode sedie con uno sguardo che non ammette repliche.
Pieno di rabbia per l’affronto subìto, anche se consapevole di essere nel torto, afferro in fretta e furia la mia giacca e mi precipito fuori dal bar, sbattendomi la porta alle spalle e scagliando tutta la tensione accumulata contro il tronco del primo albero che mi trovo davanti, maciullandomi le nocche della mano destra.
“Coglione, coglione, coglione“ ripete sogghignando la voce nella mia testa, mentre senza neanche accorgermene mi siedo sul marciapiede e comincio a singhiozzare e di fronte a me, uno dopo l’altro, anche gli ultimi clienti escono dal locale.
« Perché piangi? » La ragazza fantasma mi guarda, con i suoi occhi spenti.
« Non sono affari tuoi. » sussurro.
« Okay » risponde, prima di sedersi al mio fianco.
La testa stretta fra le mani, i pensieri persi lontano, non so per quanto resto immobile dietro il guscio con cui escludo gli altri dal mio mondo. Quando rialzo lo sguardo, lei è ancora lì, seduta accanto a me, le braccia incrociate sui gomiti, la testa delicatamente poggiatavi sopra. Affino l’udito, cercando di capire se è sveglia. Il suo respiro è talmente flebile che, per un attimo, penso di no. Poi, bofonchiando, confessa:
« Sono viva, tranquillo, stavo solo riposando. Forse ho bevuto un po’ troppo, questa sera. »
« Forse? »
« Forse anche senza forse. »
« Non ti reggevi neanche in piedi. »
« Eppure non sono io quella che si è ritrovata seduta in lacrime fuori da un bar. »
« Touché! »
Le prime luci dell’alba colorano il cielo. In lontananza, la città si sveglia. La ragazza fantasma e io siamo ancora seduti in silenzio sul marciapiede. Ognuno perso nel proprio mondo, nessuno dei due pronto a lasciare l’altro e ritrovarsi davvero solo.
« Se non vuoi dirmi perché piangevi, puoi almeno dirmi perché non sorridi… »
Alzo lo sguardo e, nelle tenui sfumature che riempiono questo nuovo giorno, la vedo. Vedo i contorni di quella che un tempo doveva essere. Al centro del volto scavato, il naso sottile, le labbra finissime, quasi violacee, e due fessure, azzurre come il mare, profonde come un pozzo, vuote come solo chi ha avuto tutto e poi l’ha perso può averle.
« No. Non posso. »
« Non puoi o non vuoi? »
« Entrambe. »
« Parlare a una sconosciuta potrebbe farti bene. Certi macigni te li devi togliere, da dentro, altrimenti va a finire che affondi con loro. »
« Forse ho voglia, di affondare. »
« Forse? »
Sorrido. « Forse anche senza forse. »
Quando i primi motorini iniziano a sfrecciare lungo la via, ci alziamo dalla nostra panchina di fortuna. Impacciati, senza sapere bene come salutarci, entrambi restiamo a guardare le punte dei nostri piedi decidere in che direzione andare. Egoisticamente, non voglio che tutto finisca così, con uno scambio di battute tra due sconosciuti capitati per caso nello stesso posto, così rompo l’imbarazzo e le chiedo: « Ora dove vai? »
« Non lo so, in realtà. Dappertutto e da nessuna parte. »
« Non hai un posto dove ritornare? »
« È… complicato, per così dire. » Mentre mi risponde si morde la guancia. Glielo si legge nella leggera curva che le si forma sul viso e trascina le sue labbra verso il basso che c’è molto di più di un semplice intralcio dietro. Come se solo il pensiero di dover rimettere piede nel posto da dove viene la rendesse terribilmente triste. « Tu invece? » mi chiede.
« È complicato anche per me. » le rispondo, mentendo. Mentendo perché in realtà è semplicissimo: l’unico posto dove posso andare è la casa dei miei, sul lago di Bolsena. Sparire per un po’, lasciare Roma e tutte le grane che qui non mi darebbero tregua per ritrovare la tranquillità guardando i tramonti specchiarsi sull’acqua e il cielo dipingersi di tutte le sfumature che la città gli toglie. « Vuoi venire con me? » le chiedo, senza sapere bene perché.
Nei suoi occhi, all’improvviso, un bagliore. Così impercettibile che quasi mi sembra di averlo immaginato.
« Dici davvero? » mi chiede, incredula.
« Perché no? »
« Perché non sai neanche come mi chiamo? »
« Vero. Ma so che hai bisogno anche tu di evadere per un po’, e il posto che ho in mente potrebbe farci bene. »
Mi sorride. Un sorriso radioso, come non ne vedevo da tanti. Come probabilmente non ne faceva da tanto. « Vero. »
« Allora è deciso! » esclamo, mostrando più entusiasmo di quanto sarebbe necessario. Arrossisco, puntando di nuovo lo sguardo sulle punte dei piedi, che stavolta puntano lei.
« Sembra di sì! »
Le porgo la mano. La osserva per un attimo, prima di stringerla. Quando lo fa, mi sento improvvisamente meno: meno stronzo per aver distrutto il mio capo, meno stupido per aver annullato la mia carriera, meno crudele per aver troncato con Serena sull’altare, meno in colpa per essere un mostro. Meno sbagliato, perché sto facendo forse per la prima volta qualcosa di giusto.
E ripenso a quella frase di Stephen King letta di sfuggita qualche giorno prima: I mostri sono reali e anche i fantasmi sono reali. Vivono dentro di noi e, a volte, vincono. Ci ripenso e mi dico che a volte, però, quando salvi qualcuno che ha bisogno di aiuto ma non sa come dirlo, o quando vedi qualcuno che si è sempre sentito invisibile, ecco, a volte, quei mostri e quei fantasmi, anche perdono.
Autore: Stephi
Disclaimer & copyright
Il contenuto pubblicato sopra è protetto dalla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore, legge n. 633/1941, qualsiasi riproduzione anche parziale senza autorizzazione è vietata. Questa breve storia è un’opera di fantasia, personaggi e situazioni sono inventate e hanno lo scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, eventi, luoghi e persone, vive o scomparse, è puramente casuale.
Un racconto davvero magnifico. Ammiro la tua scrittura, il tuo modo di esprimere le emozioni in maniera semplice ma diretta. Premetto che dal titolo ho avuto una leggera strizza che potesse essere un horror ma sono rimasta molto sorpresa e soddisfatta nel vedere che non lo era. È qualcosa di davvero profondo e reale. Davvero brava ❤️
Ciao Tany! Ti tranquillizzo su una cosa: io e l’horror siamo agli antipodi e non penso sarei mai capace di poter produrre qualcosa di quel genere, è proprio l’opposto rispetto al mio mondo, perciò non ti preoccupare, horror scritti da me non li leggerai mai ahahah Ciò detto, ti ringrazio davvero di cuore per il bellissimo commento che hai lasciato a questa storia. Profondo e reale sono due parole importanti, sapere che le associ a questo scritto non può che riempirmi di soddisfazione. Ti sono sinceramente grata. <3
Ciao. Sono Silvia di Silvia tra le righe. Ma wow. Che racconto ci hai donato. Complimenti. Scrivi benissimo. La tua storia mi ha davvero toccato e tenuta incollata alla pagina… Complimenti.
Ciao Silvia! Sono super felice di essere riuscita ad arrivarti e tenerti incollata nella lettura fino alla fine, è una delle cose più belle da sentirsi dire, grazie di cuore per la lettura e per il commento!
Ciao.
Dal titolo mi aspettavo qualcosa di diverso, tetro e cupo, un horror di notte. Mi hai sorpresa e stupita, in modo positivo.
Ho letto dall’inizio fino alla fine curiosa di capire cosa era successo, chi era lui, chi era lei, cosa li aveva portati lì a quel momento in quel bar.
Lui lo scopriamo un bicchiere di whisky alla volta direi. Poche informazioni che attirano molto l’attenzione. Lei è un fantasma dall’inizio alla fine, rimane avvolta nel mistero tanto che mi sono persino chiesta se fosse vera o meno.
Quando continuerai? Perché sono curiosa e voglio sapere come finisce, cosa succede, cosa è successo a entrambi.
A presto, Liv.
Ciao Liv! Grazie di cuore per il commento, felicissima che ti sia piaciuto il racconto e che ti abbia fatto nascere la curiosità di capirne di più di questi due personaggi. Chissà, forse li ritroveremo, forse anche senza forse (cit.)… 😛
Più ti leggo, più la tua scrittura mi entra dentro. Sei davvero brava, Stephanie -ti invidio, signorinella ahah <3-, e l'unica cosa che percepisco quando affronto una tua qualsiasi storia è quest'obbligo intrinseco e lancinante di farti i complimenti ahahah Ebbene sì, credo di essere una tua groupie AHAHAH
A parte questo mio forte disagio, se proprio devo andare a trovare il pelo nell'uovo -o più che altro l'uovo nel pelo perché, giuro, è un'inezia di poco conto-, forse avresti dovuto dare un accenno in più al background dei due personaggi: mentre di lui dici qualcosa -così essenziale è stato perfetto, ma una frase o due ben piazzate potevano starci da Dio, donando l'esaustività sufficiente ;)-, lei rimane in una sorta di aura misteriosa -aspetto che si lega, comunque, a doppio filo alla sua natura di "fantasma", insomma un vedo non vedo, ecco- che avrei voluto diradassi un poco, lo stretto necessario e basta 🙂 Vabbè, una sciocchezza, come puoi notare da sola, perché, in confronto a tutto il resto -mi inchino ancora, se non si è capito all'inizio ahah-, è davvero un sciocco sassolino nella scarpa XD
Questa cosa che tu – che sei bravissima – mi invidi mi commuove, dico sinceramente. Grazie di cuore Lara, per tutto: dalla possibilità di prendere parte a questo gruppo splendido alle parole con cui ogni volta commenti i miei scritti. Ti ringrazio molto anche per il pelo nell’uovo, molto apprezzato: questi due personaggi son nati man mano che le parole si stendevano sul foglio, e l’aura di mistero che si è creata intorno a entrambi è in realtà un po’ voluta, perché puntavo a raccontare quell’attimo di presente senza andare più del necessario nel passato. Capisco però che la scelta possa spiazzare alcuni lettori, e che forse qualche riga in più non avrebbe guastato. Credo che il ragazzo mostro e la ragazza fantasma abbiano comunque ancora qualcosa da dire… chissà, magari in futuro scopriremo il loro passato… 🙈
Ciao Steph! È la prima volta che leggo qualcosa di tuo quindi sono felice di essere rimasta folgorata! Non esagero! Il titolo da solo aveva già stuzzicato la mia curiosità, ma il tuo stile asciutto e diretto (la prima persona ti dona davvero molto!) mi ha proprio conquistata. Hai raccontato una storia che di per sé potrebbe sembrare quella di molti avventori di bar in notturna, ma con una potenza espressiva che non lascia spazio a dubbi o critiche. Mi è piaciuto molto l’epilogo con la citazione di King e con quella sembri chiudere il cerchio iniziato col titolo… Davvero brava brava brava, non vedo l’ora di leggere qualcosa altro scritto da te, adesso che ti ho “assaggiata” sarà dura non farne incetta 😍 Alla prossima!
Ciao Anne Louise, sono senza parole! Non so come rispondere al tuo commento se non ringraziandoti infinitamente, mi commuovo sempre a leggere i complimenti e da una scrittrice brava come te fanno doppiamente piacere! Spero di non deluderti con le prossime storie! A presto, Stephi
Ciao Stephanie!
Be’… wow!
Il tuo è un racconto davvero intenso, che cattura e coinvolge in questo personaggio misterioso e borderline, soprattutto perché parte dal presupposto che sia un “mostro” per un suo qualche comportamento sbagliato e che, pian piano, ci mostri in maniera molto convincente e soprattutto intrigante. È un racconto che non cerca una giustificazione per ciò che di sbagliato è successo, quanto piuttosto dimostra come si riesca a risollevarsi pur provenendo da esperienze sbagliate. Riesci a far sentire vicini questi due personaggi e soprattutto fai venir voglia di continuare a leggere, per sapere se e come entrambi riusciranno a risollevarsi e ad aiutarsi a vicenda. La scrittura è ottima, ben ponderata e calibrata tra dialoghi e descrizioni, che riescono a far emergere il bar dell’immaginazione come qualcosa di concreto.
Mi è piaciuto davvero, davvero tanto! Brava!
Alla prossima
Federica
Ciao Federica, che dirti… grazie mille per il tuo commento! Sono davvero contenta ti sia arrivato il messaggio di speranza che ci ho inserito, e mi rende felicissima sapere di essere riuscita a far scaturire in te la voglia di restare incollata al racconto fino alla fine 🙂 Grazie di cuore, davvero! Stephi
Mamma mia, che racconto! Ogni volta che ti leggo, sono fuochi d’artificio, dentro, al punto che qualsiasi cosa io dica mi sembra irrilevante, se non addirittura sciocca: quando un testo è perfetto, è perfetto; inutile girarci intorno, o riempirsi la bocca di parole. La tua scrittura è superlativa, non c’è niente da fare. Dai sempre il giusto ritmo alla storia, crei immagini nitide e realistiche, ogni sentimento dei personaggi scorre sulla pelle e arriva dove deve. Dici tutto senza dire tutto, sai guidare la mente del lettore senza “manipolarla”. Sei davvero brava, e non vedo l’ora di leggere qualcos’altro di tuo.
Debora, non so cosa dire. Leggere questo tuo commento mi ha lasciato davvero senza parole, tanto che pur avendolo visto giorni fa, ancora adesso son qui che scrivo e riscrivo una risposta sperando di non essere banale o scontata. Intanto, è d’obbligo un grazie. Un grazie sincero, perché mai avrei pensato qualcuno potesse reagire così di fronte a qualcosa scritto da me. Non ho mai creduto di essere una scrittrice troppo brava: capace sì, ma come ce ne sono tanti altri. Ogni volta che invece pubblico qualcosa e leggo i tuoi commenti, così come quelli delle altre, c’è una minima parte di me che inizia a credere che forse mi sono sbagliata e che forse qualcosa di più di un semplice “buono” sono capace di scriverlo anche io. E ti sono grata per avermi aiutata a capirlo. Secondo, credo che questo tuo commento sia senza dubbio una delle cose più belle che mi siano mai state dette riguardo ciò che scrivo. Non scherzo: mai prima d’ora nessuno aveva descritto la mia scrittura come “superlativa”, ho ancora i brividi. Sono sinceramente commossa. E infinitamente felice. Spero che tu sappia che la stima è reciproca: è anche leggendo i tuoi racconti che sto imparando a migliorare i miei. Perciò ti ringrazio ancora, davvero, di cuore. Un abbraccio, Stephi
Ciao Stephanie!
Questo racconto mi ha decisamente catturato. La scena al bar è descritta in modo realistico ed il protagonista sembra emergere con naturalezza dal contesto. Fin da subito si comprende che egli si porta dietro una storia difficile, ma devo ammettere che la parola “mostro” fa pensare a molto peggio. In definitiva, forse Alessandro è solo una persona che si sentiva ingabbiato in una vita non sua ed ha scelto di darci un taglio prima di essere travolto. Lei, invece, è più misteriosa… e la parola “fantasma” stavolta è più calzante. Mi sarebbe piaciuto saperne di più sul perché della sua disperazione… è una scelta voluta per mantenere il mistero o parlerai ancora di questi due?
La forma mi è sembrata corretta ed è molto scorrevole e piacevole da leggere. Come ha detto Susy, il lettore coglie con facilità le emozioni che vuoi trasmettere. Brava, una bella storia!
Ciao Silvia, tutto il racconto è partito dalla citazione di King, per cui l’associazione Alessandro-mostro e ragazza-fantasma non è una scelta dovuta a un possibile seguito della storia, ma è un semplice riferimento alla frase. Concordo con te, comunque: Alessandro, più che essere un mostro, si sente un mostro, per aver distrutto i sogni della donna che lo amava ma che lui invece non ricambiava. Lei invece è nata misteriosa: non ha voluto neanche svelarmi il suo nome! Certi personaggi mantengono anche per chi li racconta dei segreti, e credo proprio che la ragazza fantasma sia uno di questi 🙂 Sono contenta comunque che ti siano arrivate le emozioni che ho voluto trasmettere e che il velo di mistero rimasto su di lei ti abbia incuriosito! Grazie mille per il tuo commento e per aver letto questo racconto!
Ma che bello!
Mi è piaciuto tantissimo, è cosi realistico. Sei riuscita con poco a catturare l’attenzione, a rendere tutto vero: emozione, dolore, paura, mistero e quindi complimenti davvero.
Ciao Susy! Grazie di cuore, sono davvero contenta di essere riuscita a trasmetterti tutte queste emozioni, non ero convinta fosse abbastanza incisivo questo racconto ma fa piacere sapere di sbagliarsi! Grazie per i complimenti e per aver letto il mio scritto, alla prossima, Stephi